Tre giorni di aperture non salvano dalle macerie

di Nando Santonastaso
Martedì 29 Dicembre 2020, 07:41 - Ultimo agg. 15:26
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Era appena un anno fa, di questi giorni. Napoli incoronata da tutti i media, stranieri compresi, come la vera capitale del turismo delle città italiane, sold out alberghi e Bed & Breakfast, tre milioni di presenze per le festività di Natale e Capodanno, veglioni e cenoni pressoché in ogni ristorante. Numeri da capogiro, ritorni garantiti per tutta la filiera, dai fornitori ai gestori. Nei fatti la conferma di un trend che pareva inarrestabile, con aumenti del 13,6% (dati ufficiali) dei visitatori (nel decennio) e del 5% nel valore aggiunto, in termini più strettamente economici.

C’era chi, e non solo per interesse specifico di categoria, arrivava a ipotizzare per Napoli e la Campania una prospettiva di sviluppo sempre meno industriale, inebriato da statistiche e percentuali su cui non sembrava il caso di essere comunque un po’ più prudenti. Dodici mesi dopo, stessi giorni, è come se fosse passato uno tsunami sull’intera filiera (e sull’industria anche, come si ragionava solo pochi giorni fa): Srm ha calcolato che se fossero confermate le previsioni meno pessimistiche, la Campania e Napoli perderebbero nel 2020 circa 2 miliardi di fatturato tra commercio e turismo, quasi il 40% in meno dell’anno precedente. Ragionando di Pil e di ricchezza pro capite, il buco sarebbe di circa mezzo punto percentuale: che ai non addetti ai lavori sembrerà un valore tutto sommato accettabile ma che in realtà corrisponde ad una voragine a tutti gli effetti se si tiene conto che rappresenta un terzo dell’intera crescita economica prevista in Campania nel 2021.

È per questo che di fronte all’effetto devastante del Covid non possono bastare ristori, sostegni e aiuti che pure sono assolutamente indispensabili e che peraltro non stanno ancora arrivando a tutti gli aventi diritto. Arriverà il giorno in cui l’epidemia sarà sconfitta e bisognerà ripartire ma proprio quello rischia di trasformarsi nel momento più difficile. Perché nel mondo globalizzato (di cui turismo e commercio sono pilastri strategici) il fattore tempo sarà sempre più decisivo, la qualità dell’offerta farà ancora la differenza, la capacità di attrarre persone e investimenti risulterà determinante. Napoli sarà in grado per allora di rispondere affermativamente a queste tre basilari premesse? 

Il dubbio è forte e non solo perché la post pandemia trascinerà comunque con sé incognite importanti: nessuno sa, di fatto, quanti posti di lavoro potranno essere previsti, quanti voli effettivamente arriveranno a Capodichino, di che percentuale in termini di consumi sarà fatta la ripresa e così via. Si naviga a vista e si avverte, forte, la sensazione che ripartire non sarà affatto facile e che ritornare alle cifre del boom di un anno fa diventerà a dir poco complicato.
Come per l’industria, dunque, ricostruzione è la parola chiave.

Perché un sistema economico già di per sé precario, come quello meridionale, rischia di non rialzarsi se non si costruiscono attorno ad esso, ma anche dentro di esso, i paletti in grado di sostenerne la voglia di rilancio. 

Non c’è bisogno di andare troppo lontano per capire che quei paletti corrispondono all’assunzione di responsabilità ben diverse del passato da parte di tutti gli attori protagonisti, dalla politica alle istituzioni locali, dalle imprese alle società di export, dalle banche alle partecipate. C’è un problema Napoli che va affrontato adesso, preso di petto perché sono le fondamenta del suo delicato e instabile equilibrio economico che rischiano di saltare. Pensare di delegare parte di questa responsabilità alle sole politiche assistenziali, che pure rimangono necessarie, significherebbe muoversi verso la direzione sbagliata. E chi pensa che il sostegno finanziario di Bce e Ue sarà infinito dovrà prima o poi rendersi conto che i debiti andranno restituiti e che dunque solo una forte crescita potrà permettere al Paese (e al Sud in particolare) di restare a galla. Ricostruire una prospettiva credibile, duratura e corale diventa perciò non un’opzione tra tante ma una necessità con la quale l’intera prima linea del potere, pubblico e privato, deve misurarsi. 

Non aiuta certo l’approssimarsi della scadenza elettorale per il rinnovo del Comune: si voterà presumibilmente quando le scelte della ripartenza dovrebbero essere già state fatte almeno dal governo nazionale e di conseguenza il rischio di restare al palo mentre i concorrenti nazionali e internazionali scattano dai blocchi di partenza è reale. Ma proprio per questo serve un impegno serio e condiviso che coinvolga al di là delle appartenenze, dei pregiudizi, degli steccati, delle gelosie personali. Napoli ha raramente dato questa prova di unità in passato, salvo che nelle occasioni più drammatiche, dove la sua straordinaria solidarietà ha costruito ponti oltre le divisioni: ma questa, purtroppo, è una di quelle occasioni, forse persino più importante. Come vivrebbero decine di migliaia di persone strappate dal vaccino alla pandemia ma senza lo straccio di un lavoro?

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