Il parcheggio dell'ospedale
​usato per le auto dei killer

Il parcheggio dell'ospedale usato per le auto dei killer
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 2 Agosto 2018, 22:45 - Ultimo agg. 22:46
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Un posto tranquillo, «schermato», decisamente al riparo da blitz e controlli di polizia. Un’area sosta dove parcheggiare per giorni mezzi «sporchi», come scooter o auto usati per consumare rapine, agguati e altri delitti. Ne sono convinti gli inquirenti che, negli ultimi mesi, hanno deciso di (ri)accendere i riflettori sul parcheggio interno all’ospedale San Giovanni Bosco.  Un nuovo fascicolo dopo il blitz del 2014, dunque. Ricordate cosa accadde a gennaio di quattro anni fa? Decapitato il clan Contini (inchiesta poi culminata in decine di condanne), le mani della camorra anche sugli appalti del San Giovanni Bosco. Oggi c’è un nuovo filone investigativo, che punta a fare chiarezza sul parcheggio di proprietà dell’Asl Napoli uno. Non c’è solo la storia degli abusivi in divisa, quella della coop di vigilantes che per tre anni hanno gestito il parcheggio dell’ospedale senza avere alcuna concessione da parte della Asl, ma anche ipotesi decisamente più allarmanti.  
In questi mesi, gli inquirenti sono alle prese con una nuova traccia: il parcheggio dell’ospedale potrebbe essere stato usato come deposito di auto e scooter da parte dei clan locali. Mezzi usati per agguati, omicidi, raid di camorra, poi mimetizzati nel via vai di vetture ai piedi del nosocomio di via Briganti. Mezzi che non sono stati bruciati, ma che sono stati smontati e in parte ripuliti con tutta calma. Facile immaginare la pista dei pm. Riflettori puntati sui Bosti-Contini, cartello storicamente egemone nella zona del rione Amicizia, ma anche sugli alleati di Secondigliano, che fanno capo al clan Licciardi. Famiglie da sempre unite all’ombra dell’Alleanza di Secondigliano, che hanno usato il San Giovanni Bosco come un pezzo del proprio scacchiere criminale.
LA COOP
Indagine condotta dalla Dda di Napoli, agli atti fino a questo momento ci sono spunti investigativi raccolti dal commissariato Stella San Carlo all’Arena e dai carabinieri del Nas, che stanno monitorando appalti e gestione dell’intera struttura ospedaliera. Un faro investigativo che ora fa i conti con questa nuova ipotesi, anche alla luce della mancanza di controlli all’interno del parcheggio dell’ospedale.
Ma proviamo a fare chiarezza, a partire dalle date. Fino alla metà dello scorso luglio, l’area è stata gestita da una coop, che si è insediata nel controllo del flusso di auto in sosta, senza alcuna concessione da parte dell’Asl. Lo ha spiegato agli inquirenti l’amministratore della azienda, che ha ricostruito come è arrivato a stringere tra le mani le chiavi di un parcheggio da centinaia di posti ai piedi dell’ospedale: «Il vecchio gestore (inadempiente nei confronti dell’Asl dal 2007), tre anni fa mi ha girato le chiavi del parcheggio, ma non ho mai pagato un canone al Comune o all’Asl, né ho informato Prefettura, uffici di polizia locali o la stessa direzione dell’ospedale. Ho solo garantito l’assunzione dei sette dipendenti, che lavorano nel gabbiotto, si alternano con turni di lavoro e che veicolano gli incassi giornalieri». Insomma, una stretta di mano e un bancomat a cielo aperto che passa da un gestore all’altro. Lavoratori ritenuti abusivi (e che vanno considerati estranei a contatti con la camorra), che potrebbero però essere stati «usati» - ovviamente a loro insaputa - come schermo per mascherare operazioni di ripulitura di mezzi compromettenti. Una strategia camorristica che per anni ha sortito i propri effetti: difficile immaginare controlli a tappeto all’interno del recinto di un ospedale visitato giorno e notte da migliaia di utenti.
GLI APPALTI
Indagini in corso, si punta decisamente in alto. Scooter e auto ricettate e usate per consumare agguati, che sono stati parcheggiati all’ombra dell’ospedale, prima di essere poi ripuliti, cessata la tensione investigativa. Ma non è il primo caso di contatti con il crimine organizzato emerso dalle indagini che hanno riguardato il San Giovanni Bosco. Quattro anni fa la maxiretata firmata dalla Dda di Napoli svelò anche altri intrecci e collusioni. Appalti sospetti per la gestione della buvette o per la pulizia, un intero spaccato amministrativo passato al setaccio, mentre negli ultimi mesi si fa avanti una nuova ipotesi choc: quella della «copertura» assicurata dalle divise (solo apparentemente legali) indossate dai vigilantes a presidio di ticket e macchinette segnatempo nate senza alcuna autorizzazione. 
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