Orlandi, oggi i risultati del test Dna. I pm: qualcuno voleva far sparire quei due corpi

Orlandi, via al test del Dna. I pm: qualcuno voleva far sparire quei due corpi
Orlandi, via al test del Dna. I pm: qualcuno voleva far sparire quei due corpi
di Michela Allegri
Lunedì 5 Novembre 2018, 00:03 - Ultimo agg. 11:38
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Due cadaveri fatti sparire nel nulla, occultati. E il test del Dna, la prova chiave per risolvere un giallo che dura da trentacinque anni. Il primo punto fermo potrebbe arrivare già questo pomeriggio, quando gli agenti della Scientifica comunicheranno ai magistrati se i resti trovati nel pavimento della cappella di Villa Giorgina, sede della Nunziatura Apostolica, in via Po, a Roma, siano di una o due donne. Il punto di partenza di un’inchiesta importante, definitivamente archiviata dalla Cassazione due anni fa, ma mai dimenticata dai familiari e ora riaperta grazie a un ritrovamento choc: quella sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, cittadina vaticana sparita a 16 anni nel 1983, a un mese di distanza da Mirella Gregori, 15 anni.

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Sarà l’esame del Dna a stabilire se le ossa trovate da quattro operai, in parte sotto al pavimento e in parte murate nel battiscopa della cappella, siano delle due adolescenti. Gli accertamenti inizieranno oggi, e già nel pomeriggio la Scientifica potrebbe comunicare al procuratore aggiunto Francesco Caporale e al pm Francesco Dall’Olio, titolari del fascicolo aperto per omicidio, il sesso delle vittime. Nei prossimi giorni, invece, arriveranno i risultati degli esami sui denti e, soprattutto, gli esiti del test genetici, per stabilire una volta per tutte se i resti appartengano alle due ragazzine scomparse.
 


CADAVERI OCCULTATI
Intanto, gli inquirenti hanno deciso di acquisire la documentazione relativa agli interventi di ristrutturazione effettuati all’interno di Villa Giorgina negli ultimi decenni. Il pavimento della cappella sarebbe stato sostituito per l’ultima volta negli anni Ottanta. Il medico legale dovrà invece stabilire se sui resti ci siano tracce che consentano di ricostruire le dinamiche del decesso. Su un punto, però, i pm non hanno dubbi: si tratta di due cadaveri occultati. Due persone che dovevano essere fatte sparire. Per provare a capire il motivo, sarà fondamentale dare loro un nome.
 

COLD CASE
Ed ecco che il test del Dna, ancora una volta, diventa la prova chiave, il punto di partenza per mettere in fila i tasselli di un cold case. L’ultimo giallo risolto grazie alla comparazione genetica è l’omicidio di Yara Gambirasio, del 26 novembre 2010: è stato proprio l’esame del Dna la prova regina che ha portato alla condanna all’ergastolo - confermata dalla Cassazione - per il muratore Massimo Bossetti. Prima c’era stata la svolta nell’inchiesta sul delitto dell’Olgiata, a Roma. Lo stesso accertamento permise infatti di dare un nome all’assassino della contessa Alberica Filo della Torre, uccisa nella sua villa nel quartiere residenziale della Capitale nel 1991. Dieci anni dopo l’omicidio, sull’orologio che la nobildonna indossava quando venne uccisa venne isolato il Dna di Manuel Winston, cameriere filippino, ex-dipendente della famiglia. La stessa traccia genetica venne trovata anche in due macchie di sangue sul lenzuolo che avvolgeva il cadavere della donna. Una prova schiacciante, per la Procura. Il domestico confessò il delitto nell’aprile del 2011 e venne poi condannato a 16 anni di reclusione. A Potenza, un anno prima, un altro mistero risolto grazie alla comparazione genetica.

Il cadavere di Elisa Claps venne trovato nel sottotetto della Chiesa della Santissima Trinità, nel marzo 2010, 17 anni dopo la scomparsa della donna. A incastrare Danilo Restivo, unico sospettato del delitto, fu una perizia: il suo Dna venne trovato sulla maglia che la vittima indossava quando venne uccisa. È stato ancora l’esame del Dna, nel giugno 2016, a mettere la parola «fine» a un altro caso di cronaca nera: il massacro del Circeo. La procura di Roma aveva ordinato la riesumazione del corpo sepolto nel cimitero comunale di Melilla dal 1994, enclave spagnola in Marocco, per verificare che si trattasse di Andrea Ghira, uno dei tre responsabili del massacro, condannato all’ergastolo nel 1976 ma sottrattosi alla giustizia italiana perché fuggito all’estero.
 

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