Paese al bivio sui fondi per il Pnrr

di ​Luca Bianchi
Martedì 28 Marzo 2023, 23:45
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Il Pnrr ha assegnato ai Comuni la responsabilità di realizzare una rilevante mole di investimenti: circa 40 miliardi di euro, oltre il 20% delle risorse finanziate dal Dispositivo europeo per la Ripresa e la Resilienza. Segno del “protagonismo” che si è scelto di restituite ai Comuni a discapito delle amministrazioni regionali.

Da questo nuovo protagonismo seguono carichi amministrativi e sforzi aggiuntivi di spesa che gravano su enti depauperati nell’ultimo ventennio, soprattutto al Sud, di risorse umane e finanziarie, e con dipendenti sempre più anziani a causa di reiterati blocchi del turn over. Ne conseguono le preoccupazioni sui ritardi attuativi al centro del dibattuto delle ultime settimane. 

Secondo lo studio Svimez “I Comuni alla prova Pnrr” l’occasione è stata colta dalle amministrazioni comunali che hanno partecipato in massa ai bandi ministeriali (con tassi di adesione anche superiori nel Mezzogiorno tra i Comuni con meno di 30.000 abitanti), nonostante procedure giudicate troppo complesse dal 63% dei Comuni del Sud (57% al Centro-Nord).

I tempi di realizzazione delle opere osservati nell’ultimo decennio evidenziano che i Comuni del Mezzogiorno impiegano quasi tre anni per completare un’infrastruttura sociale, nove mesi in più della media nazionale. Un gap di capacità realizzativa che si determina già nelle prime fasi di avvio dei lavori, rallentate dalle carenze di competenze tecniche e dirigenziali interne alle amministrazioni. Di fronte ai preoccupanti segnali di rallentamento del Pnrr, il Governo è davanti a un bivio. 

La prima strada è dare continuità all’azione di supporto e rafforzamento delle amministrazioni comunali per scongiurare il rischio di perdere l’opportunità storica di colmare i divari territoriali di cittadinanza; a partire dalla scuola, primo presidio di lotta alle disuguaglianze e principale ambito degli interventi del Pnrr di responsabilità dei Comuni. E, insieme, impegnarsi, in continuità con l’azione avviata con l’ultimo decreto Pnrr, in una seria riforma che “approfitti” della fase di avvio della nuova programmazione dei fondi strutturali 2021-27; sfruttando i margini di maggiore flessibilità europea, realizzando in maniera più incisiva il coordinamento strategico tra le diverse programmazioni. 

In questa direzione va la proposta di trasferire alcuni progetti del Pnrr sui programmi della coesione per garantirsi tempi di spesa meno stringenti.

Adeguando, in parallelo, le priorità e le programmazioni (nazionali e regionali) delle risorse disponibili al nuovo contesto economico. 

Si tratterebbe di un’operazione molto complessa – che richiede il placet dell’Europa e una forte azione di cooperazione tra Governo e enti decentrati – ma praticabile, a condizione che resti invariata la destinazione territoriale delle risorse per non intaccare le finalità di coesione degli interventi.
Ben diversa la seconda opzione di un “tagliando” basato su una duplice riallocazione di risorse. Dai Comuni alle Regioni, che nonostante performance di spesa dei fondi strutturali non certo brillanti, si candidano a riguadagnare responsabilità di gestione diretta anche delle risorse del Pnrr, mettendo a rischio l’unitarietà della programmazione. Dai meno efficienti enti del Sud a quelli del Nord, come ventilato in questi giorni da alcuni Presidenti di Regione.

Una strada, quest’ultima, sbagliata e impraticabile per almeno due ragioni. Innanzitutto, la “nuova” Europa del debito comune ha distribuito le sovvenzioni del Dispositivo che ha finanziato i Pnrr nazionali anche sulla base di criteri di solidarietà (basso pil pro capite; elevata disoccupazione). Senza i ritardi strutturali del Mezzogiorno, l’Italia non sarebbe stato il principale beneficiario del Ngeu tra le grandi economie europee. In secondo luogo, i regolamenti europei richiedono il raggiungimento di target specifici per ottenere i finanziamenti, contrariamente ai fondi strutturali che sono programmi di spesa. Il Pnrr è infatti un programma orientato ai risultati: non bastano gli scontrini, va data dimostrazione del raggiungimento degli obiettivi fissati, che non possono prescindere dal riequilibrio territoriale delle condizioni di accesso ai diritti di cittadinanza. La presunta minore velocità di spesa delle amministrazioni comunali, in particolare del Sud, non può essere dunque l’argomento per ripensare in corsa l’allocazione di risorse per investimenti del Pnrr tra livelli di governo e territori. 

In definitiva, il dibattito sui rimedi per mettere in sicurezza il Pnrr dovrebbe concentrarsi su un interrogativo di fondo. Si intendono preservare le innovazioni di metodo e le finalità di coesione del Pnrr o declassare il Piano a semplice programma di spesa, spogliandolo delle sue finalità di lotta alle disuguaglianze e disperdendo le energie fin qui profuse dai Comuni? 

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