Se la crescita rilancia il tema dei salari

di Paolo Balduzzi
Sabato 30 Luglio 2022, 00:00 - Ultimo agg. 07:00
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Gli eventi degli ultimi anni ci hanno abituato a pensare che le sorprese sono sempre negative: una pandemia non prevista, una guerra inaspettata, un’inflazione poco anticipata (e forse anche mal interpretata); per finire, almeno nel nostro Paese, una crisi di governo davvero inimmaginabile. Per fortuna ci ha pensato l’Istat, nella tarda mattinata di ieri, a offrirci una visuale diversa. Il Prodotto interno lordo italiano (Pil) è in crescita dell’1% rispetto al trimestre precedente e del 4,6% rispetto all’anno scorso. Per memoria, la crescita del primo trimestre 2022 rispetto all’ultimo del 2021 era stata solo dello 0,1%. Questi numeri hanno portato a rivedere, ancora una volta, le previsioni di crescita acquisita per quest’anno, che passano dal 2,6% al 3,4%. 

Con le elezioni alle porte, il rialzo dei tassi deciso dalla Banca centrale europea, un’inflazione ai massimi storici negli ultimi 35 anni, in pochi sarebbero stati disposti a scommettere in un balzo del Pil di queste dimensioni; anzi, a dire il vero, i timori di un principio di recessione, cioè addirittura di una sua diminuzione, c’erano tutti. È ovviamente prematuro, e soprattutto fuorviante, pensare che le prospettive economiche siano rosee, ma intanto si possono archiviare sia il miglioramento nell’economia sia la crescita, conseguente, dell’ottimismo. Per quanto riguarda le prospettive, il loro colore dipende principalmente dalla risposta a due interrogativi: da cosa dipende questo risultato e quali effetti avrà sulla campagna elettorale e, più avanti, sull’agenda del nuovo governo. Il primo interrogativo ha una risposta molto difficile da trovare. E, come spesso accade quando si cercano spiegazioni poco ovvie, le motivazioni possono essere eterogenee. 

C’è sicuramente un effetto interno, che con un po’ di retorica si può chiamare “effetto Draghi”, dovuto alla capacità del Governo di contrastare il peggioramento della situazione economica con politiche adeguate. Tuttavia, chi scrive non pensa affatto che tali risposte fossero davvero sufficienti, in quanto eccessivamente temporanee e poco strutturali. Ma è il tipico caso in cui si è contenti di essersi sbagliati. Sempre che davvero ci si sia sbagliati e che il conto non venga presentato con le prossime previsioni economiche. Un impatto positivo, più sugli stati d’animo che sull’attività economica, è la regolarità con cui, in maniera anche sorprendente, il governo sta rispettando le scadenze del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e quindi incassando i finanziamenti europei. La reputazione di un Paese è fondamentale per mantenere elevata l’attrattiva dello stesso. 

C’è poi un effetto esterno, ancora più difficile da spiegare. Gli Stati uniti sono in recessione: il prodotto americano è infatti calato dello 0,9%; la Germania non se la passa bene, visto che la sua crescita rispetto allo scorso trimestre è nulla; mentre invece corrono, soprattutto rispetto ai partner continentali, Italia, Francia e Spagna, tre nazioni mediterranee.

Un caso? A parte la posizione geografica, poco hanno in comune i tre paesi in questo periodo: diversi i tassi di disoccupazione, diversi i tassi d’inflazione, diverso il grado di dipendenza energetica dall’estero. Bisognerebbe quindi essere cauti nel teorizzare un nuovo modello economico mediterraneo.

Per quanto riguarda invece il secondo interrogativo, è possibile che un quadro economico positivo rinforzi i partiti che hanno dato fiducia al governo Draghi e che hanno continuato a farlo esplicitamente anche durante la crisi (Pd e forze di centro), mentre dovrebbe indebolire, ma in politica il condizionale è sempre d’obbligo, Movimento 5 stelle e i partiti di centrodestra. Perché? Perché una produzione più elevata è associata a maggiore occupazione, a entrate fiscali più elevate e a spesa pubblica per assistenza inferiore. Non è un caso che le statistiche del Pil siano state anticipate, proprio in questi giorni, da quelle sugli utili delle grandi società italiane: profitti positivi e in crescita per tutto il 2022. Un quadro quindi favorevole all’investimento e alla riduzione del debito pubblico. Sarà interessante vedere come, proprio in campagna elettorale, i partiti affronteranno il tema distributivo e fiscale. In altre parole, il tema dei salari diventerà ancora più centrale. 

Non solo. Se le condizioni in essere garantiscono crescita economica, sarà molto difficile che la prossima maggioranza, di qualunque colore essa sarà, si ponga in grande discontinuità con la linea di governo attuale. A partire, di nuovo, dalla necessità di proseguire con l’attuazione del monitoraggio del Pnrr e proseguendo con il processo di riforme finora solo abbozzato ma che andrà necessariamente completato e implementato. Il pericolo principale, in questa situazione, è credere che il Paese sia solidamente ancorato a un sentiero di crescita stabile e duratura. Niente di tutto questo. Le condizioni congiunturali sono ancora rilevantissime: come sarà infatti l’autunno, tra nuove varianti Covid e conflitto in Ucraina? Soprattutto, però, sono le condizioni strutturali a essere scricchiolanti. Le riforme sono ferme al palo e il debito pubblico è ancora elevatissimo. Rilassarsi proprio ora, lasciare che ogni paese europeo torni a ragionare sulla base dei soli interessi nazionali, cedere alla tentazione di spesa pubblica elettorale potrebbe riconsegnarci all’incubo di una recessione quando meno ce l’aspettiamo. E la retorica delle sorprese sempre negative trovare un’ennesima e drammatica conferma. 

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