Pd spaccato perché il Sud non ha votato per la Schlein

di Massimo Adinolfi
Mercoledì 1 Marzo 2023, 00:00
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Una leader radicale: così la stampa internazionale presenta Elly Schlein. Aggiungendo: giovane e donna. Ce n’è abbastanza per dare il senso di una novità, persino di una rivoluzione nei costumi politici della sinistra italiana. Dopodiché se uno prende la mappa del voto, può verificare che Bonaccini ha vinto in Emilia-Romagna, nel Mezzogiorno, in Sardegna, mentre la Schlein ha prevalso nel resto del Paese. Di qui a trarre la conclusione che ancora una volta il vento dell’innovazione e del cambiamento soffia da Nord, mentre nel Sud prevalgono le resistenze del partito apparato, il passo è breve.

Breve, ma forse meno lineare di quanto si creda. È indubbio che nel risultato di Bonaccini in Campania ha pesato, e molto, l’appoggio del Presidente De Luca, così come in Puglia quello di Emiliano, così come è evidente la presa della Schlein sull’opinione pubblica dell’elettorato urbano, specie al Nord. Ma in un’analisi così condotta – che richiederebbe comunque di essere ulteriormente raffinata, disaggregando approfonditamente il voto – manca perlomeno un elemento, che va al di là della freschezza giovanile della vincitrice delle primarie: il contenuto della proposta politica. 

Che, nel caso della Schlein, si precisa in una chiara impronta ideologica, riconoscibile fin dalle prime parole della mozione presentata a congresso: «Giustizia sociale e climatica sono inscindibili. Non si può lottare efficacemente contro le diseguaglianze se non si affronta nello stesso tempo l’emergenza climatica». Sono idee nuove? Sicuramente sì, nel senso che non credo sia mai stata assegnata – non, almeno, nella storia recente del Partito democratico – una simile priorità alle battaglie in tema di ambiente (mettendo peraltro in risalto un nesso con domande di giustizia sociale tutto ancora da dimostrare, o almeno da costruire: ma questa è un’altra storia), ma non è nuovissimo il modo in cui queste idee vengono perseguite, confidando sostanzialmente su politiche redistributive e investimenti pubblici.

Qui non entro nel merito dell’efficacia di simili ricette, non discuto quanto sia fondato il giudizio sulla mala pianta del neoliberismo o sul ruolo dello Stato imprenditore. Dico solo che dal Sud abituato all’assistenzialismo e all’intermediazione pubblica dell’economia questa ricetta, decisamente sbilanciata dal lato dell’intervento dello Stato, non sarebbe dovuta affatto dispiacere. Il popolo delle primarie ha invece scelto Bonaccini, a cui viene addebitata – di nuovo: non discuto quanto a torto o a ragione – l’eredità della stagione neoliberista di Renzi, con il jobs act, le riforme strutturali, il mantra della crescita e della modernizzazione: non proprio il campionario del Sud assistito.

D’altra parte, è pur vero che le prime parole della mozione Bonaccini suonano decisamente più familiari alle orecchie di iscritti e militanti (forse proprio perciò meno gradite a tutte le altre orecchie che hanno votato domenica): «Il Partito democratico è nato per dare rappresentanza all’Italia del lavoro, della coesione sociale, dello sviluppo economico e della sostenibilità ambientale».

Un’analisi semantica non ci porterebbe molto lontano: la quota di elettori che ha votato avendo letto le mozioni temo sia risibile (ed è giusto così). Però colpisce: è qui che ci sono, in realtà, le parole antiche della sinistra – partito e lavoro – mentre mancano nell’incipit della mozione Schlein, che per declinare le sue parole d’ordine rinuncia di fatto tanto all’antico contenitore – il partito – quanto all’antico contenuto – il lavoro –.

Che cosa voglio dire? Che se proprio si vuole misurare la distanza del Mezzogiorno dalla novità della proposta politica rappresentata da Elly Schlein, bisognerà guardare alla persona, al linguaggio, ai simboli, e certo anche al profilo fortemente caratterizzato in tema di diritti civili e sensibilità ambientale, le issues – come si dice, ossia le questioni – su cui è più nettamente riconoscibile il profilo di sinistra delle nuove generazioni, un po’ meno alla declinazione sul terreno economico-sociale, in cui è più difficile assegnare all’uno o all’altra i significanti vecchio/nuovo. E in cui è meno netta la risposta a una domanda che suonasse così: è più adeguato il pragmatismo governista di Bonaccini o la riconversione ecologica di Schlein a indicare un futuro per il Mezzogiorno?

Quale che sia la risposta a questa domanda, non credo consenta di incasellare ancora una volta il voto dei democratici meridionali alla voce: ritardo. Così come non credo che alla Schlein converrà considerare il Sud come una mera zavorra, gravata dal peso del notabilato locale. O perlomeno: non sarebbe una maniera nuova e intelligente di leggere la realtà del Mezzogiorno e di misurarsi con i problemi del Paese.

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