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La brutta pagina della Francia (con barricate e forzature)

di ​Paolo Balduzzi
Articolo riservato agli abbonati
Martedì 21 Marzo 2023, 23:45 - Ultimo agg. : 22 Marzo, 06:03
3 Minuti di Lettura

Raffinerie ferme, sacchi dell’immondizia accumulati per le strade, scioperi, proteste, vandalismi. E un indice di popolarità per il Capo dello Stato ai minimi dal 2020. È l’effetto della riforma francese delle pensioni.

Una riforma approvata negli scorsi giorni col voto favorevole del Senato ma senza quello dell’Assemblea legislativa, grazie a una forzatura da parte del governo che gli è costata, nella giornata di ieri, la discussione e la votazione di ben due mozioni di sfiducia. Il conteggio si è fermato a 278 voti, solo 9 in meno dei 287 necessari per mandare a casa il governo. È bene chiarire una cosa: la riforma delle pensioni proposta dal governo Borne e sostenuta strenuamente anche dal Presidente francese, Emmanuel Macron, non ha nulla di scandaloso. Non, perlomeno, per chi sa guardare oltre il proprio orticello di diritti acquisiti e, a volte, di privilegi sedimentati.

L’aumento dell’età pensionistica, già ridotto rispetto alla proposta iniziale (da 62 anni a 64 invece che a 65), sarà graduale e pienamente in vigore solo dal 2030, così come graduale sarà l’aumento a 43 anni di contribuzione (dagli attuali 42) per ottenere una pensione senza penalizzazioni. Soprattutto, questa riforma permetterà di garantire ai francesi, specialmente a quelli più giovani, un sistema previdenziale sostenibile, duraturo e anche generoso, una prospettiva che attualmente manca ai giovani italiani.

L’aspettativa di vita in Francia aumenta, come in tutto l’occidente. Ma, a differenza che l’Italia, il paese invecchia molto di meno. Il numero di figli per donna, in diminuzione anche Oltralpe, è ancora elevato: 1,9 figli per donna contro gli 1,3 del nostro paese. Da questi numeri deriva che nel 2050 il tasso di dipendenza, cioè il rapporto tra popolazione anziana e quella in età lavorativa, sarà del 54,5% in Francia e di ben il 74,4% in Italia.

Le differenze non finiscono qui. Parigi dedica oggi alle pensioni una quota di spesa pubblica del 13,8%, mentre l’Italia già il 15,6%; tra poco più di dieci anni, nel 2035, queste cifre saranno rispettivamente del 15,5% e del 17,9%, per poi ricollocarsi su valori inferiori entro il 2050 (14,3% in Francia e 16,2% in Italia). In Francia, l’aspettativa di vita alla nascita supera gli 82 anni (83 in Italia), mentre quella a 65 anni supera i 21 (qualche mese in più che in Italia): in altre parole, chi raggiunge l’età della pensione può attendersi di vivere fino a 86 anni. Infine, la formula pensionistica è di tipo retributivo: basa l’assegno previdenziale sugli stipendi dei venticinque migliori anni di carriera. E la pensione media equivale a circa il 75% dell’ultimo stipendio, un tasso di sostituzione piuttosto generoso. Molto probabilmente, quindi, i disordini in piazza dei più esagitati, vale a dire i vandali che colgono qualunque occasione per rovinare il patrimonio pubblico (e privato) nonché gli agitatori che hanno interesse a mantenere alta la tensione sociale, nulla hanno a che fare con le motivazioni della riforma. Forse, per essere espliciti, nemmeno le conoscono.

Come accade spesso anche nel nostro paese. Seppur in assenza di queste numerose (e sbagliate) proteste, tuttavia, procedere all’approvazione di una riforma di questo tipo senza coinvolgere l’Assemblea nazionale è stato un grave errore politico. Dal punto di vista legale, la Costituzione del 1958 (art. 49.3) permette infatti al Governo di “impegnare la (propria) responsabilità (…)sul voto di un progetto di (..)finanziamento della previdenza sociale”: una formula non esattamente esplicita che significa “evitare il voto parlamentare”, fatta salva la possibilità che poi il parlamento sfiduci il Governo stesso, naturalmente. Tuttavia, è difficile pensare che un comma del genere si possa applicare quando le strade bruciano, in Assemblea manca la maggioranza e l’opinione pubblica è per oltre due terzi contraria al provvedimento. Comunque la si guardi, quindi, una brutta pagina per la democrazia francese.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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