Pensioni, salta
il legame con i contributi

di Enrico Del Colle
Sabato 17 Novembre 2018, 22:47
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C’è un filo rosso che unisce i provvedimenti riguardanti il sistema pensionistico italiano dell’ultimo quarto di secolo, ovvero la volontà dei governi di intervenire (quasi) sempre dal lato della spesa (uscite) e pressoché mai dal lato dei contributi (entrate). Infatti, dalla legge Dini (1995, che ha “rivoluzionato” il modo di erogare le pensioni, introducendo il metodo contributivo), passando per le riforme Prodi (1997), Maroni-Tremonti (2004e 2005), Damiano (2006 e 2007) e Sacconi (2009 e 2010), fino ad arrivare alla legge Fornero (2011, che ha, tra l’altro, accelerato il passaggio al contributivo e ha affrontato direttamente l’inevitabile problema della relazione tra l’innalzamento della vita media e l’età alla pensione), si è agito spostando in avanti l’età al pensionamento (agganciandola alla speranza di vita che, fortunatamente, tende ad allungarsi), introducendo regole per la previdenza integrativa e revisionando strumenti e meccanismi propri delle pensioni di anzianità (come Ape, Rita, opzione donna e altro ancora). 
Questi provvedimenti sono andati tutti nella direzione di regolamentare e spesso inasprire le condizioni di accesso alla pensione con l’effetto (parziale) di non far aumentare oltre misura la spesa pensionistica, anche alla luce del forte processo di invecchiamento che sta provocando un divario sempre maggiore tra prestazioni pensionistiche e contributi versati (quanto sarebbe vantaggioso intervenire anche dal lato delle entrate investendo massicce risorse nel mercato del lavoro, al fine di evitare contrazioni del flusso contributivo, oppure individuando fonti di finanziamento aggiuntive e/o sostitutive!); le misure adottate in questi anni, però, agendo in modo frettoloso e poco coordinato, hanno spesso prodotto confusione tra la gente e hanno altresì “congestionato” ulteriori percorsi d’intervento volti a rendere sostenibili i costi previdenziali. 
È evidente che, come in tutti i casi di “affollamento”, anche in questa circostanza si sono generate situazioni critiche, come vuoti normativi (si pensi alla situazione degli esodati), oppure esiti inaspettati (per le pensioni medio-alte il calcolo contributivo è mediamente più generoso di quello retributivo) e anche palesi contraddizioni (rivalutazione del montante contributivo uguale per tutti mentre non è così per le pensioni). L’operazione quota 100, che si muove, tra l’altro, in direzione opposta creando maggiore spesa in cambio di un abbassamento dell’età pensionabile, ne produrrà altre, se approvata dal Parlamento. 
Vediamo di cosa si tratta: ormai è chiaro a tutti che la quota 100 (almeno 62 anni di età e 38 di contributi) porterà, per coloro che ne vorranno beneficiare, una decurtazione dell’assegno pensionistico di circa il 20% (e non una penalizzazione dato che, solo per ricordarlo, è il semplice effetto dell’applicazione del coefficiente di trasformazione che espande il montante contributivo accumulato in misura maggiore per età pensionabili più avanzate) e ciò potrebbe frenare l’uscita dal lavoro; seppur con un certo ritardo e agendo in maniera poco ordinata, si sta pensando ad una serie di agevolazioni alternative tali da facilitare il pensionamento, ma creando incertezza e insoddisfazione nei cittadini. Si parla (non ci sono ancora documenti ufficiali) di mini-versamenti senza sanzioni e senza interessi per colmare vuoti contributivi cumulati negli anni successivi al 1996 (entrata in vigore del calcolo contributivo) con buona pace per chi li ha versati regolarmente (anche su base volontaria); si discute sull’eventualità di non far scattare l’adeguamento alla speranza di vita, con grande amarezza per coloro che, andando in pensione tra qualche anno in base alla Fornero, riceveranno, a parità di età, un assegno non superiore ai beneficiari della quota 100, pur avendo maturato più anni di contributi; si dice anche che, andando anticipatamente in pensione (a 62 anni invece di 67), ci saranno guadagni, in quanto sarà più lungo l’arco della durata del pensionamento (le cifre non dicono esattamente questo e comunque non è così per i “pensionandi” – circa il 3% - che, in funzione delle leggi di sopravvivenza e andando in pensione a 62 anni, non riceveranno l’assegno per l’intero quinquennio mortis causa). 
Per non parlare poi delle possibili sovrapposizioni con agevolazioni già esistenti, come, ad esempio, l’Ape social (anticipo di 3 anni per i lavoratori disagiati) e l’Ape volontario (prestito ponte per un’uscita anticipata di quasi 4 anni prima della vecchiaia). Insomma, la confusione e i dubbi non mancano, l’unica cosa indubbia è l’aumento della spesa pensionistica che rischia di far “saltare” la corrispondenza tra contributi e pensioni proprio quando, con fatica, la stavamo realizzando. Come ebbe a dire Franco Modigliani in un suo magistrale intervento del 1995 “Il sistema ha continuamente erogato pensioni assai maggiori di quelle giustificate dai contributi. La differenza è stata saldata dallo Stato e ciò ha contribuito al grande deficit ed al suo aumento nel tempo”!
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