Perché il diritto di andare al mare non può regolarsi con una “app”

di Andrea Di Consoli
Domenica 3 Luglio 2022, 00:00 - Ultimo agg. 07:00
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Ma perché sta diventando tutto più difficile? Non che vivere sia mai stato semplice, ma almeno, in passato, le cose semplici erano realmente semplici. Ora è come se si fosse costretti a rendere complicate anche le cose semplici, forse perché rendere la vita più complicata ai cittadini è una forma più o meno inconscia di controllo politico della società.

Circolano tanti luoghi comuni sull’anarchismo napoletano, perché non tutti sanno che ciò che a Napoli appare disordinato e improvvisato è in realtà frutto di un preciso modo – lo si direbbe strutturato rigidamente – di concepire il movimento delle persone nello spazio urbano. L’anarchia napoletana risulta anarchica solo a chi napoletano non è, o a chi non sopporta più, da napoletano, di vivere in una città “particolare” come Napoli. Ma per chi è consustanziale alla città è fin troppo evidente che anche ciò che appare anarchico, qui è regolato da leggi ferree e non scritte, benché di difficile decifrazione. 

Prendiamo il caso del numero chiuso alle spiagge libere di Napoli. Com’è possibile pensare di limitare l’assalto a lidi liberi come Mappatella Beach, Marechiaro e Gaiola approntando una malfunzionante app alla quale iscriversi per fare domanda di accesso? E com’è possibile pensare di “militarizzare” le poche spiagge libere partenopee con controlli a tappeto? Per caso il Comune ha soldi da spendere in straordinari? Eppure, paradossalmente, la cervellotica delibera comunale – e sorvoliamo sulla querelle tra Comune e Autorità portuale, perché nemmeno il più grande giurista di Napoli ne uscirebbe vivo – un effetto concreto lo ha sortito, ovvero che la gente, pur di non uscire pazza con l’ennesima procedura burocratica cervellotica, ha deciso di non andarci proprio, al mare. Oppure di andare ai lidi a pagamento, anche se ormai andare ai lidi a pagamento è un lusso per pochi. 

Insomma, sulla questione spiagge libere – come, del resto, sulla questione dei grandi eventi nel cuore della città – è necessario un dibattito largo, perché è proprio su queste “questioni” che si decideranno le sorti future della qualità della vita in città. 

Il rapporto dei napoletani con il mare è sempre stato profondo e intenso, nonostante la vulgata un po’ retorica e aggressiva secondo la quale “il mare non bagna Napoli”. Il mare lo bagna Napoli, eccome se lo bagna. È solo che ormai il mare libero è poco, e quel poco è regolamentato da ordinanze astruse.

E chi non può permettersi le spiagge a pagamento o si piega alle astruserie della nuova app, oppure si piega e va in una spiaggia a pagamento, un po’ come succede con la Sanità pubblica, dove a furia di scoprire liste d’attesa lunghissime si preferisce mettere mano al portafogli e andare in una struttura privata. Oppure si sta a casa, e buonanotte ai suonatori.

L’estate tra Napoli e isole limitrofe evidenzia da sempre – ma la tendenza è in rapida crescita – le profonde differenze socio-economiche nella popolazione. Crescono i luoghi esclusivi e lussuosi e diminuiscono le possibilità per chi non ha disponibilità finanziarie. E non lo si sottolinea per impeto populista, ma per riflettere su come rendere l’estate in città – stagione per eccellenza dell’esclusione sociale – un momento meno atroce per chi ha famiglie numerose con redditi bassi. Di mare gratuito ce n’è poco, e quel poco, ormai, è burocratizzato. Questa situazione non va bene, anche se davvero non è semplice allargare il numero delle spiagge libere e fruibili – con tutti i soldi che sono stati spesi in trent’anni, a quest’ora Bagnoli poteva essere la più grande spiaggia libera e popolare della Campania.

Al Comune di Napoli, al di là dei problemi di bilancio, tocca gestire una fase nuova della città; una fase nella quale sono diventate cruciali questioni come la sostenibilità dei trasporti pubblici e privati, della movida, dei grandi eventi, dei flussi turistici e dell’accessibilità democratica delle sue spiagge. Questi non sono solo processi da governare, ma cambiamenti strutturali che richiedono una visione nuova della città, frutto di un dibattito largo, umile e chiaro nei termini. Non pensiamo invece sia una buona idea quella di complicare la vita ai cittadini in una città che di complicazioni ne ha fin troppe. Nessuno ha la bacchetta magica, ripetiamo, ma convincere i napoletani a non andare sulle spiagge libere non per genialità ma per farraginosità di un’ordinanza è un modo facile di governare non governando. Tant’è che i napoletani non sono andati ai lidi comunali non perché l’ordinanza ha funzionato, ma proprio perché non ha funzionato. Ricordandoci tanto quel cantante lucano che diceva di essere stato bloccato dagli altri nella sua carriera “per eccesso di successo”. 

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