La stazione, Jorit, il dito e la luna

di Fabrizio Coscia
Giovedì 2 Luglio 2020, 23:26 - Ultimo agg. 3 Luglio, 07:00
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Forse lui, Pino Daniele, avrebbe commentato con la sua solita ironia, o intonando «Nun me scuccià», una delle sue canzoni più filosofiche e indolenti, però la querelle nata attorno al popolare e amatissimo artista napoletano - ovvero lo stop dato dalla Sovrintendenza al previsto murale di Jorit sulla facciata del Palazzo Alto delle Ferrovie dello Stato - rischia di diventare l’ennesimo pasticciaccio consumato all’ombra del Vesuvio.

Ma andiamo per ordine: nella nuova Piazza Garibaldi di recente riqualificata per i lavori della Linea 1 della Metro viene annunciato alla fine della settimana scorsa il progetto di un grande murale dell’ormai star degli street artist Jorit, con il volto di Pino Daniele, sul grattacielo che sovrasta piazza Garibaldi, quello progettato da Pierluigi Nervi. C’è infatti un accordo firmato dalla Fondazione Jorit – in collaborazione con l’Ente no profit Pino Daniele Trust Onlus – Grandi Stazioni Immobiliare e FS Sistemi Urbani, società del Gruppo FS Italiane. Peccato, però, che a nessuno sia venuto in mente di chiedere lumi alla Sovrintendenza, la quale ha prontamente bloccato il tutto, facendo sapere che l’edificio è vincolato dal Mibact dal 2004. Per tutta risposta, però, il Gruppo Ferrovie dello Stato ha scoperto e comunicato con una nota ufficiale che una sentenza del Tar del 2006, «confermata nel 2007 da analogo pronunciamento del Consiglio di Stato, libera, di fatto, quell’edificio da qualsiasi provvedimento restrittivo», e che addirittura «la Stessa Soprintendenza, con una nota trasmessa nel 2016 alla società Grandi Stazioni ha espressamente riconosciuto che, alla luce di tali sentenze, l’immobile in questione non è soggetto a disposizioni di tutela diretta ai sensi del vigente codice dei Beni Culturali». Il vincolo c’è, anzi no.

Questione risolta? Si spera. Verrebbe da chiedersi, però, come sia possibile che si firmi un accordo del genere senza prima inviare un progetto dettagliato alla Sovrintendenza per ricevere regolare approvazione, trattandosi comunque di un edificio che, realizzato da uno degli ingegneri-architetti italiani più importanti del Novecento e ultimato nel 1966, ha tutte le caratteristiche per rientrare nel novero dei beni disposti a tutela. Ma soprattutto verrebbe da chiedersi ancor più come sia possibile che un ente come la Sovrintendenza non abbia consapevolezza dei beni liberi dai vincoli e rilasci dichiarazioni che contraddicono se stessa. Forse un colpo di calore estivo? Ma al di là dell’aspetto grottesco della questione - al di là del solito teatrino dei veti e contro-veti burocratici - ci sarebbe però un altro elemento da mettere in evidenza: tutta questa polemica, infatti, rischia di assomigliare a quella classica situazione in cui il saggio indica la luna e lo stolto guarda il dito. 

Ci si preoccupa, infatti, anche giustamente se vogliamo, della fattibilità e legittimità di un progetto da realizzare su un edificio storico, ma non si considera ciò che sta succedendo sotto gli occhi di tutti: e cioè che una zona solo da così poco tempo riqualificata come quella di piazza Garibaldi stia tornando rapidamente al degrado di sempre. Basta passare in questi giorni proprio sotto il grattacielo della discordia per ritrovarsi alla fermata dell’autobus con materassi gettati a terra su cui sono accampati clochard, o imbattersi tutt’attorno in scene di ordinario degrado. Bisognerebbe preoccuparsi molto di più, io credo, di questa ostinata incapacità di riscatto di ampie zone della città, di questa drammatica coazione a ripetere gli stessi fallimenti, di questa fatica di Sisifo cui Napoli sembra condannata, per cui tutto ciò che si fa con grande sforzo si finisce per disfare rapidamente. Si dice, spesso, che la street art - e quella di Jorit in particolare - sia un’arte di impegno sociale, volta soprattutto a riqualificare le zone urbane più degradate, o le periferie. 

Quale zona più del Vasto, allora, meriterebbe questa riqualificazione? Ben venga, dunque, il grande faccione di zio Pino segnato delle ormai tipiche strisce rosse della Human Tribe diventate il marchio di fabbrica di Jorit, a salutare i viaggiatori che arrivano a Napoli: al di là delle questioni tecniche e dei pasticci burocratici, la città ha bisogno di questo: una riqualificazione urbana che passi attraverso una riqualificazione dell’immaginario. E una costante, severa vigilanza alle manutenzione delle cose e delle idee.
 
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