Il nuovo Pd con i vecchi vizi si rifugia nelle primarie

di Mauro Calise
Mercoledì 14 Aprile 2021, 00:00 - Ultimo agg. 07:00
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Ma era proprio il caso, nel bel mezzo di una pandemia e con i sindaci delle principali città in prorogatio per divieto di voto, mettersi a fare le primarie? Ormai è chiaro che la coalizione – si fa per dire – del centrosinistra si tiene ormai con gli spilli, e non si capisce più chi davvero vuole stare con chi. Italia Viva vede i Cinquestelle come il diavolo l’acquasanta, a Leu si rizzano i capelli quando sente parlare di Renzi. E se i vertici di democratici e grillini cercano ancora di dialogare, nelle periferie se le dicono di tutti i colori. 

Per mettere ordine in questo caos, ci si rivolge al sacro graal delle primarie, il mito salvifico della partecipazione popolare convocato mentre i governatori – e l’esercito – cercano disperatamente di evitare gli assembramenti. Invece della corsa al vaccino, la corsa al vaticinio.

Per spiegare questo pasticcio c’è una sola risposta: i partiti non ce la fanno, non riescono a decidere. Al loro interno e, ancor di più, al tavolo coi presunti alleati. Nessuno si aspettava miracoli da Enrico Letta, chiamato a una mission impossible che ha accettato con invidiabile senso del dovere. E non v’è dubbio che la patata più bollente sia a Roma, dove le spaccature locali del Pd, e la resistenza della Raggi, rendono più complicato imporre una soluzione dall’alto. Ma per non sciogliere questo nodo, il segretario sceglie la strada apparentemente più semplice, puntando sulla palingenesi della investitura dal basso. Ma, all’atto pratico, questa strada, nella storia dei democratici, si è rivelata sempre un fallimento. 

L’ultimo, clamoroso, risale a cinque anni fa. E la memoria dei brogli a Napoli è ancora viva nell’opinione pubblica. Ma, più in generale, la gestione disastrosa delle amministrative fu il primo passo della precipitosa caduta dal piedistallo di Renzi. Non è andata per niente meglio quando le primarie sono state usate per scegliere il segretario o il candidato nazionale della coalizione. In tutti questi casi, infatti, ci si è trovati di fronte a una conta – e a uno scontro – tra le correnti, col risultato che, dopo il verdetto, il partito – e la coalizione – erano più divisi di prima.

Con l’aggravante – imperdonabile – che in vent’anni di celebrazioni di questo rito, il ruolo e il peso di chi partecipava si è limitato al momento del voto. Invece di diventare l’innesco di un processo di partecipazione allargato, di cui i partiti da decenni hanno un bisogno vitale, le primarie sono rimaste congelate, un evento una tantum da cui esce – si fa per dire – un vincitore. Ma senza alcun cambiamento nel meccanismo di mobilitazione e interazione con la cerchia dei simpatizzanti.

Basti pensare che non c’è stato sino ad oggi alcun tentativo di informatizzazione elementare dell’anagrafe dei «volontari dei gazebo». Milioni di votanti che non lasciano, dietro di se, alcuna traccia. Non verranno ricontattati, sollecitati a fare domande, proposte, organizzare eventi onsite o online. Chiusi i gazebi, i partiti si richiudono nei vecchi circoli e nei vecchi circuiti. Incassando l’unico bottino simbolico della proclamazione.

Tutt’altra cosa sarebbe se, tuffandosi per un momento nella realtà, gli oligarchi prendessero atto che da mesi e mesi tutti i cittadini sono costretti a vivere online buona parte del loro tempo. Tra smartworking, Dad e abuso paranoico di ogni forma di circolazione in rete con cui cerchiamo di sopravvivere al divieto di circolare per le strade, il Web è diventato – purtroppo – il nostro ecosistema di vita. Perché, allora, non organizzare le primarie su internet, con una piattaforma condivisa? Persino i nostri politici dovrebbero sapere che in USA la vittoria dei democratici è arrivata grazie a un uso diffuso di sistemi collaudatissimi di voto elettronico. Se non riescono a leggere in inglese, ne trovano una rigorosa analisi nel saggio di Marco Valbruzzi sul primo numero della Rivista di Digital Politics. Sistemi facili da montare, e tutti a prova di trucchi. Quelli che invece, nelle primarie vecchio stile, arriveranno certamente a inquinare ulteriormente le acque già agitate del centrosinistra. 

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