Il primario del Pellegrini: «Notte da incubo in corsia, Napoli armata e violenta»

Il primario del Pellegrini: «Notte da incubo in corsia, Napoli armata e violenta»
di Ettore Mautone
Giovedì 14 Luglio 2022, 23:50 - Ultimo agg. 16 Luglio, 09:25
5 Minuti di Lettura

Giuseppe Fedele, dirigente medico della Asl Napoli 1, è un chirurgo di urgenza di lungo corso. Alle soglie della pensione - da 35 anni è in forze all’ospedale Pellegrini di Napoli - è ancora appassionato del suo lavoro: «Resterò qui fino a quando sarà possibile». Il dottor Fedele era di turno nel pronto soccorso della Pignasecca anche due anni fa quando finì sulla traiettoria dei proiettili durante una sparatoria di cui ci sono ancora le tracce nei muri per un regolamento di conti legato a questioni di droga rimanendo miracolosamente illeso. Un professionista che raccoglie gli echi di una Napoli sempre più violenta che ogni notte mostra il suo volto più spietato ai danni di giovani, donne e adolescenti. 
 

È reduce dall’ennesima notte di sangue. Cosa è accaduto stanotte? 
«Sono arrivati due casi da codice rosso in rapida successione, entrambi vittime di aggressioni». 
 

Ce li racconti... 
«Poco dopo la mezzanotte è arrivata una donna nigeriana residente alla Sanità. L’ha condotta qui un’ambulanza del 118. Era una maschera di sangue a causa di una ferita doppia, a binario, tra l’occhio e la guancia procurata da un pezzo di vetro che la ha reciso profondamente la cute. Una ferita profonda: ho dovuto sedarla superficialmente e suturare. Quella ferita lascerà uno sfregio permanente. L’ennesima vittima del marito o del compagno. Non aveva i documenti. Abbiamo allertato le forze dell’ordine ma alle tre di notte ha firmato ed è andata via da sola». 
 

E poi? 
«Subito dopo è arrivato un ragazzo di 15 anni.

Giunto con i suoi piedi dolorante e con una maglietta a tamponare il fianco sinistro dove aveva una profonda ferita da punta e da taglio: accoltellato. Ha detto di essere rimasto vittima di una rapina nella zona del centro della città. Per miracolo non ha avuto lesioni agli organi interni ma lo abbiamo dovuto ricoverare. Poco dopo è arrivata la madre sorpresa che il figlio si trovasse in un pronto soccorso con il fianco squarciato. Erano le 3.30: mi sono chiesto perché i genitori consentono ai figli di restare per strada a quell’età per tutta la notte, perché non lo avesse cercato prima. Napoli, è una città violenta ma lo è diventata di più negli ultimi quattro o cinque anni. Con la pandemia assistiamo a un’esplosione di episodi. Turni in cui arrivano sempre più numerosi casi di sangue per accoltellamenti e aggressioni anziché richieste di soccorso per un malanno, un accidente medico o chirurgico». 

Chi sono le vittime? 
«Sempre più giovani dai 12 ai 15 anni, una decina ogni sera, soprattutto il venerdì, sabato e domenica. Ragazzi che fanno abuso di alcol e droghe e che restano vittime di accoltellamenti e talvolta di sparatorie. Mai se ne sono visti tanti. E anche nei giorni feriali non mancano. Come se la violenza appartenesse ormai alla quotidianità della vita di questi ragazzi pur non essendo allevati necessariamente in ambienti criminali. C’è stata una contaminazione in negativo da fasce sociali un tempo contigue ma distanti e separate». 
 

A cosa è dovuto tutto questo? 
«La mia impressione è che negli anni sia avvenuto un processo di approfondimento del disagio sociale in strati sempre più vasti della popolazione che pescano non solo nell’area dell’immigrazione clandestina e irregolare e nelle fasce della marginalità e della deprivazione sociale dei napoletani ma che arriva ormai agli strati sociali della piccola e media borghesia. Ragazzi di famiglie che possiamo definire normali eppure abituati alla violenza nel dirimere qualunque controversie tra pari ma anche solo vittime di atti criminali consumati nell’ambito di quella che voi definite la “movida” notturna. Rissosa, caotica e priva di riferimenti culturali». 

Cosa andrebbe fatto? 
«Da osservatore noto la solitudine di questi ragazzi, la scarsa o inadeguata presenza genitoriale, la mancanza di riferimenti presso associazioni, il silenzio di sindacati e corpi intermedi, la sterilità delle proposte della politica e delle istituzioni educative e formative. Mancano lo spessore di un tempo, luoghi di aggregazione e confronto sostituiti oggi dal vuoto stereotipato dei social, aggravato dall’uso e abuso di sostanze». 
 

Qualche episodio che l’ha colpita di più negli ultimi anni? 
«Soprattutto casi di minori che arrivano con incredibili ferite da lama ma anche intossicati da alcol e droga. Ricordo anche molti casi di violenza ai danni delle donne soprattutto consumate in famiglia. Violenze di tutti i tipi non solo tra immigrati ma anche tra italiani. L’ultimo caso due giorni fa: una ragazzina minuta presa a bastonate, piena di lividi, ferite, fratture. L’abbiamo affidata alla polizia in codice rosa. Ma ci sono anche casi di prostitute ferite e massacrate. Un paio di anni fa arrivò in pronto soccorso una donna completamente nuda. Si prostituiva a via Mezzocannone e il suo aguzzino l’aveva ridotta come non è facile descrivere per lo scarso guadagno. Picchiata a sangue aveva il naso inesistente, fratture al volto, l’orbita frantumata, il viso sfregiato».
 

Cosa fece? 
«La operammo e le salvammo la vita. Allertammo subito la polizia e quell’uomo fu arrestato. Ogni notte qui chiamiamo polizia o carabinieri. Il flusso è continuo. Napoli è una città violenta».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA