Prof accoltellata, oltre il bullismo il male profondo che va indagato

di Titti Marrone
Lunedì 29 Maggio 2023, 23:45 - Ultimo agg. 30 Maggio, 12:00
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Infilare una lama in corpo a un altro, sentire che si fa spazio nella morbidezza della carne mentre il sangue esce e bagna le dita. E poi estrarla, sferrare ancora un colpo sapendo che non è un film. E’ difficile capire come si possa arrivare a ciò, soprattutto se chi si arma e compie quest’atto è appena uscito dall’infanzia. Ed è arduo immaginare i pensieri passati nella testa del liceale sedicenne di Abbiategrasso che ieri ha impugnato un coltello avventandosi sulla docente di italiano e storia, per colpirla più volte. Forse, mentre agiva, il ragazzino ha provato un sentimento analogo a quello del tredicenne di Secondigliano accoltellatore di un coetaneo la notte dello scorso sabato: di odio, così profondo da indurre il più piccolo a sporcare di sangue una serata che doveva essere di divertimento con i coetanei in un localino di via Monteoliveto, il più grande a alzare il coltello sulla sua insegnante, punizione per averlo interrogato scoprendolo impreparato. I compagni di classe di quest’ultimo ne hanno descritto il contegno, mentre senza una parola si scagliava sulla malcapitata docente. Lo studente sarebbe apparso freddo, privo di emozioni, poi ha tirato fuori una pistola, rivelatasi una scacciacani, l’ha brandita e sollevata in alto mentre la prof scappava dall’aula insieme con gli altri ragazzi. Nemmeno il tredicenne di Secondigliano avrebbe manifestato emozioni particolari mentre, a sua volta senza parlare, accoltellava il suo coetaneo che peraltro ha fatto sapere di conoscerlo solo di vista.

Nel deragliamento totale dei comportamenti, a lasciare senza fiato è soprattutto questo gelo di emozioni. A penetrarlo non possono più bastare le definizioni diventate di occasione, come “bullismo”, termine svuotato di significato da una pratica di violenza in crescita quasi epidemica fra ragazzi di ogni estrazione sociale, ad ogni latitudine. E come non aiutano a capire le spiegazioni di taglio sociologico che confinano l’aggressività dei ragazzi nei ceti meno abbienti o nei quartieri degradati, neanche soddisfano le analisi che indicano unicamente in fiction e film gli istigatori della violenza. Dev’esserci qualcosa di più profondo, che accosta il “bravo ragazzo di buona famiglia” del Nord al suo omologo cresciuto a Sud in una realtà più popolare.

Tutti siamo stati adolescenti e possiamo ricordare l’urgenza che pressa dall’interno a quell’età, la fretta di crescere e assumere comportamenti da adulti. Ma in passato era maggiormente presente la percezione di qualcosa che costringeva a rallentare, faceva da argine interiore: il senso del limite, il meccanismo che regola il rapporto tra diritti e doveri, l’idea di non poter agire buttando avanti i propri impulsi per modificare una realtà sgradita, incarnata da qualcuno che ci crea un fastidio, un disappunto.

Il ragazzo di Abbiategrasso non voleva accettare la prospettiva del debito in italiano e storia, e per questo è uscito di casa con un coltello, quindi già meditando il gesto poi compiuto? Il tredicenne di Secondigliano voleva cancellare dalla propria visuale un ragazzino verso cui era animato da sentimenti di ostilità, forse d’invidia o gelosia? Il ricorso da parte di entrambi al coltello adombra il proposito di sbarazzarsi di qualcuno fonte di disagio e l’intenzione di farlo senza dare alcun limite a quel desiderio cresciuto fino a diventare insano al punto da armare la propria mano.

E del resto, il mondo privo di limiti in cui viviamo abbonda di desideri a buon mercato, oggetti appetibili a portata di mano, da acquistare facilmente online, armi comprese. Ed è tutto un proliferare di modelli indentitari anche pubblici che indicano scorciatoie e facilitazioni per raggiungere il successo e fare soldi senza impegnarsi in nulla, di fisionomie virtuali luccicanti, di espedienti per sembrare importanti. Di fronte a simili seduzioni, chi è mai un coetaneo se non un’entità reificata, chi è un’insegnante se non una patetica figura intenta a sbarcare un ben magro lunario, malpagata e destituita di autorità da parte di quello stesso Stato che in classe dovrebbe rappresentare?

Nel videogioco dei rapporti fuori argine, l’ansia di crescere, di mostrarsi grandi e forti e potenti può far vedere chiunque si ponga sul cammino di un adolescente come un pupazzo virtuale da abbattere senza provare alcuna emozione particolare. Così noi adulti ci troviamo a balbettare sempre le stesse cose, e invochiamo a fasi alterne richiami ai valori o provvedimenti punitivi, patti educativi tra scuola famiglia istituzioni e tavoli sul bullismo.

Dei comportamenti violenti degli adolescenti noi adulti abbiamo sì paura, ma dobbiamo interrogarci anche su una paura che portiamo all’interno di noi stessi. Sul nostro aver smarrito, noi per primi, il lessico e il senso dei meriti e dei demeriti, dei doveri e dei limiti, del principio di rispetto e di quello della responsabilità. Ma la nostra paura interiore non siamo in grado di guardarla in faccia perché sappiamo di non avere smarrito gli strumenti per affrontarla.

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