Era il 17 novembre 1987. Francesco Cossiga, Presidente del Consiglio, fu costretto ad annullare all’ultim’ora una visita di Stato a Londra per uno starnuto del segretario del Partito liberale Renato Altissimo. Era la Prima Repubblica e bastava che il più piccolo dei partiti della maggioranza minacciasse per un nonnulla la crisi di governo perché si facesse una clamorosa brutta figura in un paese importante. Cossiga era stato invitato dalla regina Elisabetta a inaugurare una mostra sui vetri dei Cesari. La stampa britannica ci fece a pezzi.
Minacciare una crisi di governo al punto di salire al Quirinale mentre il presidente del Consiglio è a un vertice Nato che discute di una guerra in corso forse non sarebbe accaduto nemmeno nella Prima Repubblica. Ma tant’è.
La triangolazione Mattarella-Conte-Draghi ha fatto intendere a tutti che questo è l’ultimo governo della legislatura. Ciascuno faccia i propri conti. Per capire le ragioni di questa crisi, occorre tornare alla fine di gennaio e all’elezione del presidente della Repubblica. Mario Draghi riteneva di essersi guadagnato l’incarico avendo ben meritato nel delicatissimo primo anno di governo. Gli chiesero di far capire il suo gradimento. Lo fece e fu rimproverato per averlo fatto. Conte e Salvini si misero d’accordo nel tagliargli la strada e nessuno si batté seriamente perché ci ripensassero.
Draghi ricambia sottolineando che non entra nelle vicende dei partiti, come se questi fossero distinti dalle forze di governo. In queste condizioni, nei prossimi undici mesi si navigherà a vista. Le campagne elettorali sono tremende per i governi di unità nazionale. Ma il Paese soffre e chiede ai partiti il minimo comun denominatore per attraversare anche questo guado che il destino ha voluto riservarci.