Fabio Pacucci, dall'Italia a Yale: «Ecco come abbiamo scoperto il Quasar più luminoso dell'Universo»

L'immagine artistica di un Quasar
L'immagine artistica di un Quasar
di Enzo Vitale
Giovedì 10 Gennaio 2019, 09:25 - Ultimo agg. 18:19
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E’ l’oggetto più brillante mai trovato nell’Universo. E' quasi 600 mila miliardi di volte più luminoso del nostro Sole.  L’ha scovato un team internazionale di scienziati di cui fa parte anche un giovane ricercatore italiano, Fabio Pacucci.
Dai buchi neri molto antichi, quelli che si formarono quando l'Universo era ancora "un giovanotto", si potrà probabilmente capire cosa è accaduto in quell'epoca così distante da noi: quasi 13 miliardi di anni luce. Il team con il quale ha collaborato il tarantino 30enne, astrofisico ricercatore all'università americana di Yale e al Kapteyn Astronomical Institute olandese, ha realizzato una scoperta sensazionale proprio scandagliando questa regione remota del cosmo. Cercavano una galassia, hanno trovato un mostro.
 



 Ancora una volta, come in molte scoperte della scienza, la serendipità ci ha messo lo zampino. Nella realtà l’obiettivo del team internazionale era quello di osservare la Galassia CR7 (Cosmos Redshift 7), scoperta dall’astronomo portoghese David Sobral. Ma, inaspettatamente, lo strumento di osservazione si rompe, quindi si ripiega su un altro strumento non adatto all’osservazione dell’oggetto.


(Fabio Pacucci, l'astrofisico tarantino nel team internazionale che ha scoperto il Quasar fantasma)

Pacucci, in due parole, ma cosa avete scoperto?
«Abbiamo scoperto il più luminoso quasar mai osservato, a una distanza di quasi 13 miliardi di anni luce dalla Terra. I quasar sono oggetti cosmici estremamente luminosi che irradiano a causa dell’accrescimento di materia su un buco nero super-massiccio. Questi buchi neri, dalla massa di milioni o miliardi di volte quella del Sole, si trovano al centro di galassie molto lontane. La radiazione emessa dal buco nero centrale è talmente intensa da rendere trascurabile l’emissione della galassia circostante».
 
Dicevamo l’oggetto luminoso mai scoperto prima…
«Esatto, il quasar che abbiamo scoperto sembra emettere una radiazione pari a 600 mila miliardi di volte quella solare. Un vero “mostro” cosmico. Tuttavia, come se non bastasse, l’eccezionalità di questa sorgente è un’altra: il quasar risulta ultra-luminoso grazie a un effetto di lente gravitazionale. Nello spazio fra noi e il quasar è presente una galassia che, con la sua massa, amplifica la radiazione del quasar, come se si trattasse di una lente di ingrandimento. Questo effetto, previsto dalla Relatività Generale di Einstein, permette di osservare sorgenti molto lontane nell’Universo. La vera particolarità della scoperta è proprio questa: si tratta del quasar affetto da lente gravitazionale più lontano mai scoperto prima».


(Un'immagine del Quasar elaborata dai ricercatori)

In quale zona dell'universo si trova il quasar?
«Trattandosi di una sorgente estremamente lontana, il “dove” e il “quando” si confondono inestricabilmente. Questo quasar si trova a una distanza di circa 12.8 miliardi di anni luce da noi. La luce del quasar che ora raggiunge i nostri telescopi è stata emessa miliardi di anni fa, in una epoca durante la quale l’Universo era molto giovane. Le prime stelle e i primi buchi neri stavano ancora “ionizzando”, o irradiando il cosmo. Gli astronomi chiamano “reionizzazione” questo periodo della storia dell’Universo. La sorgente appena scoperta è il primo (e, finora, unico) quasar affetto da lente gravitazionale ad essere stato scoperto nel periodo della reionizzazione. Un vero primato cosmico!».

Perché la scoperta è importante?
«E’ importante per due motivi. In primo luogo, l’osservazione di questo oggetto suggerisce la possibilità che ci siano molti più quasar nell’Universo rispetto a quelli che conosciamo finora. Questo quasar, infatti, era quasi sfuggito alle nostre osservazioni poichè la presenza della galassia “lente” ne aveva in parte mascherato le proprietà caratteristiche. Nel mio studio chiamo questi oggetti sfuggenti con il nome di “quasar fantasma”. Fortunatamente siamo riusciti a renderci conto della vera natura della sorgente».


(Come è stato visto il Quasar nell'illustrazione dei ricercatori)

A questo punto la domanda qual è?
«Esatto, ora la domanda è: quanti quasar fantasma sono sfuggiti alle nostre osservazioni finora? Secondo i calcoli di uno studio che ho realizzato con Abraham Loeb, professore di astrofisica ad Harvard, ce ne potrebbero essere davvero tanti lassù. Se è vero, questo potrebbe alterare profondamente le teorie che descrivono il primo miliardo di anni di storia dell’Universo.
Inoltre, lo studio di questo quasar permetterà di comprendere meglio le condizioni dell’Universo durante la reionizzazione, un periodo importantissimo della storia del Cosmo».

È vero che stavate cercando una cosa e alla fine ne avete trovata un'altra?
«In un certo senso sì. Abbiamo osservato questa sorgente poichè risultava essere un quasar estremamente brillante. Solo in seguito all’osservazione con il telescopio Keck alle Hawaii ci siamo resi conto che il quasar era luminoso principalmente per l’effetto di lente gravitazionale. Insomma, come a volte succede, siamo partiti osservando un oggetto interessante e siamo giunti a trovarne uno letteralmente unico».

Chi ha fatto la scoperta e quali gli strumenti che avete utilizzato?
«La scoperta è stata effettuata da un team di 20 scienziati in tre continenti diversi, diretti da Xiaohui Fan, professore di astrofisica all’università dell’Arizona ed espertissimo cacciatore di quasar da un paio di decenni. Per effettuare la ricerca sono stati utilizzati molti telescopi terrestri, situati soprattutto alle isole Hawaii, e il celebre telescopio spaziale Hubble».

Lei che ruolo ha nel team di ricerca?
«Assieme a Xiaohui Fan, ho realizzato l’osservazione dal telescopio Keck che ha dato le prime indicazioni dell’eccezionalità della sorgente. I dati acquisiti, infatti, mostravano la possibilità che la luminosità dell’oggetto non fosse intrinseca, ma dovuta in gran parte all’effetto di lente gravitazionale».

Quanto è stata importante la sua formazione in Italia?
«I miei studi in Italia sono stati fondamentali. Ho avuto la possibilità di formarmi all’università’ La Sapienza di Roma e alla Scuola Normale Superiore di Pisa con dei grandi maestri che mi hanno insegnato non solo come fare scienza, ma anche cosa vuol dire fare scienza. Ogni traguardo realizzato è anche frutto degli insegnamenti dei miei maestri, fra i quali Paolo de Bernardis, Roberto Capuzzo Dolcetta e Andrea Ferrara».

Pensa di tornarci?
«Ritengo che l’Italia sia un Paese eccellente per fare ricerca. La costante mancanza di fondi e la scarsità di posizioni a tempo indeterminato vengono in qualche modo arginate dalla straordinaria qualità dei ricercatori italiani, che si distinguono non solo nel Bel Paese ma anche nel mondo. L’Italia ha senza dubbio una straordinaria tradizione di studi astronomici (a partire da Galileo…), con punte di assoluta eccellenza mondiale, come per esempio nel campo dei raggi X. Nel mio lavoro è davvero difficile prevedere come la propria carriera evolverà, ma non escluderei affatto la possibilità di tornarci, nel caso se ne presentasse l’occasione».

Un po' come per gli esopianeti anche per i quasar si aprono scenari di studio inaspettati?
«Inizialmente gli esopianeti erano considerati una rarità, invece ora riteniamo che la maggior parte delle stelle possegga un sistema planetario. Similmente, in un certo senso, è possibile che ci siano molti più quasar di quelli che conosciamo al momento. L’entità di questa popolazione fantasma di quasar, se esiste, è ancora tutta da determinare. Lo studio dell’Universo ha sempre portato l’Umanità a scoprire scenari totalmente inaspettati, o addirittura impensabili. Per esempio, l’esistenza fisica dei buchi neri, previsti teoricamente dalla Relatività Generale, è stata messa in dubbio per decenni, poichè nessuno riteneva possibile che un oggetto celeste potesse collassare indefinitamente in un punto. Invece, i buchi neri non solo esistono, ma sono presenti in gran numero nell’Universo. Nessuno al momento conosce realmente quali scenari si potrebbero aprire nello studio dei quasar».

Come continuerà ora la ricerca?
«La ricerca è appena iniziata. Per il momento, stiamo raccogliendo osservazioni più dettagliate di questa sorgente, per comprenderne meglio la natura e studiarne lo spazio circostante. Questo potrebbe offrire informazioni preziosissime circa le condizioni dell’Universo nella sua giovinezza. Ma la domanda che mi appassiona di più è la seguente: quanti sono i quasar fantasma? Sono solo una rarità, uno scherzo del Cosmo, oppure si tratta di una numerosa popolazione di oggetti ancora completamente inesplorata? Potrei sbagliarmi, ma i quasar fantasma infesteranno le notti di molti astronomi ancora per lungo tempo».

enzo.vitale@ilmessaggero.it
 
 

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