Quando Beppe Fenoglio scelse di intitolare “Una questione privata” il romanzo di un pezzo altrimenti pubblico e collettivo del Paese come la lotta contro l’invasione nazifascista ebbe la fulminante intuizione di raccontare le pagine grandi della Storia attraverso la lente piccola delle esistenze di singoli individui. Quello che accade a Scampia è figlio di un movimento uguale e contrario a quello proposto dallo scrittore piemontese. Il romanzo di quel pezzo di città – che qualcuno ha ancora in animo di tenere ai margini, schiacciato sotto il tallone del particolare, del lato accessorio e incidentale del quadro complessivo non solo di Napoli ma di tutto il Paese – va invece intitolato e inteso come “Una questione pubblica”. E Scampia continua a fare enorme fatica nel diventarlo, contro tutte le evidenze e le dichiarazioni ufficiali.
Sotto questo aspetto il tema del definanziamento – o dello spostamento, se volete – dei fondi del PNRR non è affatto solo una banale faccenda tecnica. È un nodo decisivo, visto che i progetti di riqualificazione – se davvero ritarderanno o verranno cancellate le assegnazioni – potrebbero restare bloccati, dato che i Comuni non hanno soldi da anticipare, oppure se lo fanno rischiano di andare incontro a paurosi scompensi di bilancio. Dal governo sono giunte rassicurazioni che dovrebbero sgombrare il campo dall’aspetto più odioso di tutta questa vicenda: il rischio, come usa dire con grande efficacia qui in città, sia che ancora una volta il cane morsichi lo stracciato, visto che riguardano la riqualificazione di aree che stanno già male.
Sono quasi trent’anni che Scampia è oggetto di attenzione da parte di politiche europee. “Restart Scampia” è uno di questi, anche se continuiamo a pensare che siano sono le Vele a essere nucleo e punto focale dell’intervento sul quartiere, benché le Vele siano una parte per il tutto. Il punto è che a Scampia e San Giovanni, le due fette di città interessate dai fondi PNRR, la maggior parte degli interventi sono quasi esclusivamente di edilizia, con poca attenzione ai servizi e alla crescita del quartiere. Solo che non di sola edilizia si può vivere, non dai soli palazzi un quartiere può rinascere. Se a questo si somma il termine imposto dall’Unione Europea – sei anni – per eseguire tutto, cioè presentare i progetti, scrivere i bandi, assegnare i lavori e completarli, ecco che la frittata rischia di essere totale: i Comuni si sono buttati a pesce per fare presto e non sanno adesso come comportarsi, con la fatica che si può immaginare in una realtà urbana e soprattutto politica in cui su alcune cose – ricordate una certa Bagnoli, vero? – ci si impiega trent’anni solo a discutere.
Cosa resta, in tutto questo panorama, delle persone? Dei cittadini e delle cittadine, cioè, che quegli spazi li abitano, li vivono e li attraversano? Il Comitato Vele di Scampia è stato sì coinvolto ai tavoli prefettizi, in un apprezzabile tentativo di tenere dentro non solo il livello alto e dirigenziale di decisione politica quanto quello essenziale, dal basso, di chi sui qui territori ci sta ogni singolo giorno della sua vita. Solo che poi quando quelle stesse persone – obiettivamente e comprensibilmente preoccupate dal rischio non così lontano che i soldi promessi non arriveranno più – scendono in strada per proteste del tutto pacifiche, è come minimo inspiegabile che il governo spedisca la forza pubblica per sciogliere le manifestazioni.
Da questo punto di vista va registrato senza dubbio con un supplemento di preoccupazione quanto accaduto qualche giorno fa, quando un centinaio di esponenti del Comitato Vele di Scampia è andato a Roma, entrando al Pantheon, per manifestare contro il taglio annunciato delle risorse del PNRR destinate al quartiere e sono dapprima stati fatti uscire dalla polizia e poi, una volta in strada, bloccati, innescando momenti di tensione e pure qualche tafferuglio con le forze dell’ordine. Se abbiamo deciso di investire una vera e radicale attenzione politica nazionale al tema delle periferie; se dopo quanto accaduto a Caivano il governo ha scelto di metterci la faccia recandosi fisicamente su quei territori; se nella lista delle priorità del Paese si è deciso di mettere in cima proprio il capitolo delle periferie degradate e abbandonate, allora quel discorso va portato avanti con coerenza. E coerenza significa attenzione, ascolto e cura delle persone e delle voci angosciate di protesta che si sollevano. «Il sostegno popolare all’azione è per noi fondamentale», ha detto ieri a questo giornale la vicesindaca Laura Lieto «C’è bisogno del concorso di tutte le forze politiche per rilanciare quel territorio: il Governo mantenga le promesse fatte, noi la nostra parte la stiamo facendo rispettando in pieno il cronoprogramma».
Questo, per fortuna, lo ha capito una istituzione come la Chiesa, che ormai su più fronti si dimostra essere più in giro per le strade di molta politica, anche di sinistra. La lettera scritta dal Comitato al Papa - dopo che monsignor Micheletti, vicario di Roma, aveva espresso in una nota ufficiale parole di grande vicinanza alle ragioni dei protestanti – è anche una lettera indiretta alla politica: prendetevi cura di noi come fanno da Oltretevere. Bisogna solo sperare che qualcuno, nella Roma laica dei palazzi istituzionali, abbia sufficiente intelligenza e sensibilità per saper leggere.
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