Quelle troppe sfumature
di giallo-rosso

di ​Massimo Adinolfi
Martedì 20 Agosto 2019, 00:00
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Per fortuna non bisogna rifarsi alla teoria dei colori di Goethe: è sufficiente la lista di wikipedia per scoprire che di gialli, o di rossi, ce ne sono a decine. Viene riportato persino un «giallo scuola bus», a cui immagino sia complementare il “rosso corsa”. Insomma, se fate un governo giallo-rosso, di tinte e sfumature con cui sbizzarrirvi ne avrete molte. Ed è così che si presentano i due partiti su cui dovrebbe essere imperniata la nuova maggioranza.

Si tratta di una mescolanza di toni e una gamma piuttosto variegata di posizioni. 
Certo, il condizionale è d’obbligo, di fronte a un rovesciamento di alleanze impensabile fino a poche settimane fa, ed in mezzo ai paradossi di queste giornate agostane il più spiritoso di tutti è quello che vede impegnati i grillini, nati per non allearsi mai con nessuno per nessun motivo, al centro di tutti i giochi parlamentari, pur di non vedere interrotta la legislatura. Ma tant’è: dall’altra parte l’iniziativa di Renzi ha offerto una sponda, e ora l’accordo col «partito di Bibbiano» (copyright di Luigi Di Maio) sembra nel novero delle cose possibili, persino probabili.
Sui suoi lineamenti è presto per dire: governo a breve durata o di legislatura, a guida tecnica o politica, con i big dentro o con un profilo solo istituzionale, con o senza Conte, con o senza Di Maio, con o senza i ministri grillini uscenti? Altre, non piccole incognite riguardano il programma, perché bisognerà sminare il terreno da tutti i punti che sono contemporaneamente indigesti per una forza e irrinunciabili per l’altra. 
Ma fatto tutto quello che ci sarà da fare per consentire l’esperimento, in omaggio alla politica come arte del possibile, e riveduti anche i rispettivi registri retorici (un’operazione che i Cinque Stelle hanno già fatto la prima volta, nel 2018, e che sono pronti a ripetere una seconda, a distanza di un anno, col Pd), rimane un’ultima questione, quella dei colori. Dei molti gialli e dei moltissimi rossi.
C’è una bella differenza con l’inizio di questa legislatura, quando il verde leghista e il giallo pentastellato si presentavano come monocromi puri. Ora, invece, tra Pd e 5S è tutto diverso. Anzitutto in casa grillina. Non sembri anche questo un paradosso, ma il fatto che si siano fatti fotografare tutti insieme, nella villa del comico genovese, è la più evidente dimostrazione che l’unità deve essere raggiunta (non arrivo a dire imposta), è cioè non un dato di partenza ma di arrivo (se ci si arriva). Perché Di Maio non potrà certo conservare tutte le cariche che ha tenuto fin qui – vicepremier, ministro e capo politico – perché Fico ha le sue ambizioni e Di Battista la sua sete di rivalsa. Perché anche nelle posizioni di rincalzo qualcosa deve cambiare, se non è più la vicinanza a Di Maio a imporre gerarchie. E Rocco Casalino, l’onnipresente portavoce di Conte: che fine farà? E Conte stesso? Bisognerà trovargli una sistemazione nel governo o in Europa, per tenerlo da riserva in vista di prossimi appuntamenti? Tutti questi movimenti, compreso il riavvicinarsi di Grillo, sono conseguenza dell’indebolimento di Di Maio, e aprono fra i 5S una fase di transizione, che avrà ripercussioni non solo in fase di formazione del governo ma anche dopo il varo (se il varo ci sarà).
In casa Pd è ancora più complicata la situazione. Un esecutivo non c’è ancora e c’è già chi sospetta che Renzi approfitterà del patto PD-5S per mettersi alla guida di una sinistra non grillizzata. Il che vuol dire che continuerebbe a tenersi stretta, grazie al controllo dei gruppi parlamentari, la golden share sulla maggioranza, che userebbe per far cadere il governo al momento opportuno. Chi peraltro tratterà coi 5S? Zingaretti ha un bel dilemma davanti: perché tocca certamente a lui, in quanto segretario del Pd, ma se la trattativa non va in porto rischia di passare per quello che non è riuscito a salvare il Paese dal baratro delle elezioni, mentre, se riesce, rischia comunque di rimanere ostaggio dei renziani. Qualcosa si capirà forse dalla composizione del Ministero, quando si passerà ai nomi e si vedrà se dentro ci saranno fedelissimi di Renzi e del Segretario (o solo dell’uno o solo dell’altro). Ma la scommessa che l’amalgama del Pd, fin qui mal riuscito, si raddensi e compatti proprio grazie all’incontro ravvicinato coi 5 Stelle è decisamente arrischiata. A me sembra anzi decisamente più probabile che, ancora una volta, come in tutte le legislature della seconda Repubblica, non solo non si finirà come si è cominciato, ma sull’intero quadro politico-parlamentare compariranno nuovi colori, cioè nuovi partiti. In cerca di quell’assetto stabile che è l’inafferrabile chimera della politica italiana da trent’anni a questa parte.
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