Da Iervolino alla Bonino:
«Così sfiorammo il Colle»

Da Iervolino alla Bonino: «Così sfiorammo il Colle»
di Generoso Picone
Giovedì 25 Novembre 2021, 23:51 - Ultimo agg. 26 Novembre, 17:14
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Rosa Russo Iervolino smorza subito ogni possibilità di approfondimento. «Questo è il tempo dei nomi “a schiovere”. Sa che cosa significa questo termine a Napoli? Per la partita del Quirinale mi pare che si stiano facendo soltanto pettegolezzi e, nel vuoto della politica, si stia perdendo di vista la questione di fondo: occorre individuare un nome di garanzia che sia in grado di assicurare l’opportuno equilibrio nel rivestire la massima carica dello Stato. Ma ogni partito preferisce muoversi autonomamente», aggiunge con amarezza. Qualche anno fa il nome adatto pareva essere il suo, nel maggio 1999 era ministro dell’Interno nel governo di Massimo D’Alema e in tanti ritenevano che, dopo essere stata la prima donna al Viminale, potesse essere anche la prima a salire al Colle. «Andò come andò. L’elezione dipende da tanti elementi».

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Una volta Rosa Russo Iervolino – la quale divenne il 13 maggio 2001 la prima donna a rivestire la carica di sindaco di Napoli - ha rievocato quest’immagine: «Alla Camera dei deputati c’è una Sala delle donne che celebra le prime elette alla Costituente, le prime sindache, la prima donna a ricoprire il ruolo di ministra, Tina Anselmi, e Nilde Iotti, prima presidente della Camera.

Non essendoci state ancora donne presidenti del Consiglio e della Repubblica, su una parete sono stati aggiunti degli specchi. Come se ciascuna visitatrice, riflettendo il proprio volto, potesse prima o poi diventare la prima a ricoprire quegli incarichi. Ecco, non mi ci sono specchiata».

Ora tocca alle altre provare a riflettere il proprio volto nell’ovale e nella convulsa fase in cui si abbozzano strategie, si delineano ipotesi, si scaricano ambizioni, la possibilità di una presenza femminile al Quirinale balena a intermittenza, si muove sullo sfondo, va a profilare i contorni di una variabile da prendere in considerazione. È stato Romano Prodi a porre il tema: «Una donna al Quirinale sarebbe una bella prospettiva». Non è stato l’apripista, non sarà lui l’ultimo a sperarlo. Nell’elezione del 1999, oltre a quello di Rosa Russo Iervolino si palesò anche il nome di Emma Bonino. Commissaria europea agli aiuti umanitari, l’esponente storica dei radicali era in un momento alto di popolarità e credito. La scelta cadde invece su Carlo Azeglio Ciampi nello scrutinio più veloce della storia parlamentare. Oggi chiude a ogni eventualità di riproposizione: «Io al Quirinale? C’è un tempo per ogni cosa, il mio era 10 anni fa, nel 1999. Ho già detto no e lo ripeto». Come Rosy Bindi, già ministra e presidente della commissione Antimafia, che ha avvertito di non entrarci per nulla in questo gioco, che «ci si candida al Quirinale non ha la testa a posto e farebbe bene a starsene a casa» e che comunque lei sta «cercando di fermare la raccolta di firme dei movimenti favorevoli alla mia elezione». Qualche migliaia di sottoscrizioni e un gruppo attivo su Facebook.

Livia Turco, ex titolare della Solidarietà sociale, ora alla presidenza della Fondazione “Nilde Iotti” e da poco pure coordinatrice del gruppo “Interventi sociali e politiche per la non autosufficienza” del ministero del Lavoro, non vuol sentire parlare di quote rosa per il Colle. «Per carità, la questione è politica. – dice – Mi aspetto che un segretario di partito la consegni all’attenzione di tutti con responsabilità e consapevolezza. I tempi sono “ultramaturi” e le donne non hanno bisogno di concessioni di sorta. Si tratta dell’affermazione di una qualità dell’agire politico e il riconoscimento costituirebbe un segnale importante in una fase così delicata e complessa per la vita del Paese. Ci sono tantissime donne in grado di rivestire il ruolo. A condizione che non ci si riduca a farne i nomi per alimentare i giochi del momento».

Oggi la rosa ricorrente vede quelli di Marta Cartabia, attuale ministro della Giustizia, di Paola Severino e Annamaria Tarantola, personalità del mondo dell’accademia e delle professioni che hanno mostrato collaudata capacità nel governo, in Bankitalia e nella Rai, di Elisabetta Belloni, la prima donna a guidare il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza alla Farnesina e a essere capo dell’agenzia di coordinamento dei servizi segreti italiani. Oppure, rimanendo nel campo politico, di Maria Elisabetta Casellati e Letizia Moratti. La prospettiva sembra ancora da verificare, in attesa di essere prossimi alla prima convocazione del 19-20 gennaio. Del resto, le scelte definitive si compiono a urne aperte. Il rischio è quello del tritacarne, della giostra delle supposizioni da cui cadono poi tutte. L’elenco delle donne su cui in passato si era condensata l’attenzione, per venire alla resa dei conti irrimediabilmente bocciate, è fittissimo. Oltre a Rosa Russo Iervolino ed Emma Bonino, vi compaiono Anna Finocchiaro ed Elsa Fornero, Livia Pomodoro, Anna Maria Cancellieri e Giulia Bongiorno. Perché al di là delle buone e belle intenzioni, è difficile non dare ragione a Livia Turco la quale, ricordando nello scorso gennaio il centenario della nascita di Nilde Iotti, avvertiva che «la politica, specialmente quella italiana, è molto arretrata rispetto ad altri Paesi europei e dell’America». Il titolo del convegno era: «Il maschilismo è ovunque». 

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