Draghi e la lezione ​di “Filippo e il panaro”

di Massimo Adinolfi
Mercoledì 26 Gennaio 2022, 00:00 - Ultimo agg. 12:00
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In una classica farsa napoletana andata in scena nell'800 finì che Filippo prima divorò lungo la strada tutte le leccornie contenute nel cestino, e poi non fece più ritorno a casa, e così Pancrazio, il padrone, perse «Felippo e o panaro». Chissà come andrà questa volta, con palazzo Chigi e il Quirinale. Perché il rischio c'è, ed è bello grosso. Il rischio che il no al Colle sia solo il cestino, e che poi si perda pure Filippo, cioè Draghi. Il premier l'ha detto con chiarezza, a suo tempo: vi pare possibile che la maggioranza che sostiene il governo si spacchi sulla scelta del presidente della Repubblica?

Se questo avvenisse, il governo non potrebbe durare un minuto di più. E anche se Salvini va dicendo che palazzo Chigi e Quirinale sono storie diverse, in realtà questa volta sono intrecciate, e districarle non è facile. Non è facile trovare un nome per il Quirinale, che garantisca il prosieguo dell'attuale governo, ma non è facile neppure portare Draghi al Quirinale, trovando un nuovo equilibrio di governo.

Appunto, «Felippo e o panaro»: potremmo perderli entrambi, buttarli via definitivamente in queste giornate febbrili, convulse, in cui pure ci si sforza di interpretare come passi avanti i falsi movimenti in cui partiti e coalizioni appaiono impegnati, mentre un'altra votazione va a vuoto, sotto un mare di schede bianche.

Dunque, va così: proficua riunione del centrodestra e rosa di nomi. Poi: proficua riunione del centrosinistra e proposta di un incontro fra le due delegazioni per oggi. I nomi fatti da Salvini & Co. non sono condivisi ma, per non esasperare la contrapposizione, non vengono avanzati altri nomi.

Col che però siamo punto e a capo. Il centrodestra potrebbe decidere di provarci: non su uno dei nomi fatti ieri Moratti, Nordio, Pera , che nessuno pensa possa raggiungere il quorum, bensì su un nome rimasto per ora coperto, ma che potrebbe essere quello della presidente del Senato, Casellati, oppure di Antonio Tajani. Potrebbe anche decidere di provare a contarsi nella terza votazione di oggi, per una sorta di collaudo, di primo giro di pista, prima di tentare la spallata nella quarta votazione, quando occorre solo la maggioranza assoluta.

Oppure, bruciati questi nomi, potrebbe cercare di stanare il centrosinistra, o almeno certi settori centristi disponibili a ragionare su un nome diverso, dopo che il fuoco di sbarramento sui petali della prima rosa si è esaurito.

Ma, come si vede, sono calcoli difficili, tatticismi, mosse che non hanno l'aria di offrire una soluzione, e che soprattutto si muovono lungo una china pericolosa, in fondo alla quale c'è la possibilità della perdita doppia: non solo la bocciatura di Draghi, ma anche la dilapidazione della sua esperienza di governo.

Non che il centrosinistra abbia le idee più chiare, per superare lo stallo. Perché, per un Letta che considera suo assoluto dovere quello di tutelare il nome del premier, c'è un Conte che, tutt'al contrario, sembra determinato a sbarrargli la strada verso il Colle. Nell'uno e nell'altro partito ci sono poi posizioni differenti, che è un modo parecchio eufemistico per dire che sulla tenuta di un eventuale accordo, ad oggi, non può scommettere nessuno. Sicché il nome di Draghi dovrebbe venire per un soprassalto di responsabilità, o piuttosto per disperazione, dopo aver esperito l'impercorribilità di qualunque altra strada. In ogni caso, un gioco condotto su un filo molto sottile, che è quello sul quale si stanno muovendo i partiti. Una sorta di duplice, rischiosissimo «vorrei ma non posso», in cui sono imprigionati tanto quelli che non vogliono Draghi al Quirinale, ma non hanno a disposizione la carta alternativa, quanto quelli che invece ce lo vogliono, ma non sanno come arrivarci, con quale patto di governo e quali garanzie sulla durata della legislatura.

Si può disquisire a lungo sulla natura di questa impasse, se sia azzardo, calcolo o semplice sventura, ma la disquisizione non dovrebbe in ogni caso andar troppo per le lunghe: ieri il bollettino della pandemia contava quasi cinquecento morti, i venti della guerra hanno preso a soffiare nell'Europa orientale e il governo americano, già in pressing sugli alleati, ha messo in allerta quasi diecimila soldati. Per finire, il prezzo della benzina è ai massimi dal 2013. Com'era quella storia di «Felippo e o panaro»?

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