Cutolo in ospedale: «Niente tac, piuttosto mi posso fare la barba?»

Cutolo in ospedale: «Niente tac, piuttosto mi posso fare la barba?»
di Leandro Del Gaudio
Domenica 8 Marzo 2020, 00:00 - Ultimo agg. 12:48
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Non accetta le cure, non vuole fare la tac. Quando gliel’hanno chiesto per l’ultima volta - è accaduto venerdì pomeriggio - si è limitato ad una battuta: «Ma me la posso fare la barba?». Una frase a metà strada tra la mancanza lucidità e la provocazione. Parla Raffaele Cutolo, 18 giorni dopo il ricovero nell’ospedale di Parma, dopo una lunghissima permanenza al carcere duro.

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In sintesi, il capo della Nco necessita di una tac, un documento clinico necessario per dare corso alla terapia, di fronte alla necessità di stabilire metodi e strategie sanitarie. Non la vuole, si rifiuta di farsi curare. Spiega l’avvocato Gaetano Aufiero: «L’unica persona che può convincere Raffaele Cutolo ad accettare la tac è la moglie. Ma la donna non vede il marito da 18 giorni e, secondo il regolamento carcerario per i reclusi al carcere duro, potrà incontrare il marito solo una volta al mese, allo scadere del trentesimo giorno di detenzione. Troppo, prima che accada qualcosa di irreparabile».

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Ed è ancora l’avvocato Aufiero a ricordare tutti i tentativi messi sul terreno in questi giorni per facilitare la possibilità di incontro tra i coniugi: «Ho scritto al Dap, indirizzando un’istanza al direttore del carcere di Parma, per avere un’anticipazione del colloquio tra la moglie e il detenuto. Comprendo tutte le ragioni che impongono rigore e severità - ha spiegato il penalista - ma qui sono in ballo questioni che attengono il diritto alla salute, che è garantito dalla nostra Costituzione”. Un caso che resta al centro dell’attenzione giudiziaria, anche alla luce delle recente istanza avanzata dal boss della nuova camorra organizzata, alla luce dei recenti dispositivi in materia di carcere ostativo.

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Ricordate il caso? Pochi mesi fa, sia la Corte europea di giustizia sia la Corte costituzionale hanno pesantemente bacchettato il nostro Paese, proprio in relazione alla gestione dei detenuti condannati all’ergastolo in via definitiva, che hanno scelto di non collaborare con la giustizia. In sintesi, per la Consulta (sull’onda della Cedu) non ci sono dubbi: l’ergastolano per motivi di mafia - anche se non pentito - ha la possibilità di rivolgere al Tribunale di Sorveglianza la propria richiesta di permesso. Un’istanza che potrà essere inoltrato (di qui il carattere non ostativo dell’ergastolo) per essere sottoposta ai giudici, alla luce di relazioni recenti. Stessa strategia da parte del 79enne Cutolo che, come è noto, non ha mai dato corso a una scelta collaborativa con lo Stato.
 

 

Condannato più volte all’ergastolo in via definitiva, tra cui anche per gli omicidi di Giuseppe Salvia (vicedirettore del carcere di Poggioreale) e del politico Marcello Torre, Cutolo si è rivolto al giudice di Sorveglianza di Reggio Emilia. In cosa consiste la sua richiesta? In sintesi, chiede di incontrare la moglie, fosse solo anche per qualche ora, in un luogo che non sia un carcere, lontano da impianti di videocontrollo e di registrazione. Una richiesta animata proprio dalle nuove disposizioni, su cui si attende la risposta dei giudici. Ed è in questo clima che si registra il rifiuto di Cutolo di essere sottoposto a una tac. Non è chiaro se è un rifiuto cosciente o se si tratta di una provocazione, anche alla luce di quanto accaduto venerdì pomeriggio al cospetto del garante dei detenuti del distretto emiliano. Prima la domanda del garante: si vuole sottoporre alla tac? Poi la risposta di Cutolo: «Ma quando mi fate la barba?», probabilmente in riferimento a un suo ritorno nella cella del carcere bunker di Parma.

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Ora però l’attenzione si sposta alle richieste spedite in carcere dall’avvocato irpino che da anni assiste Cutolo. Spiega al Mattino, il penalista: «In questi anni, e in questi ultimi giorni, Raffaele Cutolo è stato curato benissimo, nel rispetto di tutti i protocolli riconosciuti dalla comunità europea. Non capiamo perché non ascoltano questa nostra richiesta, che consentirebbe di fare un’ultima verifica: mettere Cutolo di fronte alla moglie Immacolata Iacone, l’unica persona che è in grado di convincere il marito a riaprire il discorso con i protocolli sanitari, spingendolo ad accettare le tac e le eventuali proposte da parte dei medici.
Non si può attendere ancora tanto, limitarsi a rimandare l’incontro dei due coniugi alla scadenza dei trenta giorni rischia di diventare inutile (viste le condizioni di salute di Cutolo) ma anche disumano».  

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