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Reati giovanili, serve una svolta: ​ultima chiamata prima del disastro

di Fabrizio Coscia
Articolo riservato agli abbonati
Sabato 28 Gennaio 2023, 00:00
3 Minuti di Lettura

Nell’ultima intervista  - straordinariamente lucida, presaga - rilasciata il giorno prima di essere ucciso, un’intervista che lui stesso volle intitolare «Siamo tutti in pericolo», Pier Paolo Pasolini parlò della violenza dilagante che vedeva diffondersi attorno a sé, soprattutto tra i giovani borgatari di Roma. Una violenza prodotta da quel modello di società che aveva combattuto con tutte le sue forze: «Se ho tra le mani un consiglio di amministrazione o una manovra di Borsa uso quella. Altrimenti una spranga - disse, tra le altre cose - E quando uso una spranga faccio la mia violenza per ottenere ciò che voglio. Perché lo voglio? Perché mi hanno detto che è una virtù volerlo. Io esercito il mio diritto-virtù. Sono assassino e sono buono».

Ora, in questo passaggio cruciale c’è, in nuce, ciò che sarebbe successo molti decenni dopo, e con cui oggi stiamo facendo i conti: un modello neoliberista che associato al trionfo tecnicistico-digitale ci fa tutti, potenzialmente, assassini e buoni, ovvero consumatori seriali, nevroticamente legati a qualcosa che, come ancora disse Pasolini «ci spinge tutti dentro l’arena dell’avere tutto a tutti i costi». Un’arena che coinvolge ogni strato sociale, ogni età, ogni sesso, ma il cui imperativo del consumo è particolarmente pressante sulle categorie più a rischio: penso agli adolescenti, e in particolare, agli adolescenti delle periferie, deprivati di sogni aspettative lavoro speranze, e lasciati in balìa dell’unica educazione ricevuta: «avere, possedere, distruggere».

Ci pensavo leggendo i dati relativi alla giustizia civile e penale del distretto di Napoli, che parlano di un anno record di reati commessi dai minori, con un aumento di risse, accoltellamenti e ferimenti con armi da fuoco compiuti da adolescenti su altri adolescenti, quasi sempre nel contesto della movida serale, nei quartieri di Chiaia e Vomero, all’Arenile di Bagnoli e ai Decumani. Con una saldatura significativa tra soggetti giovani appartenenti a note famiglie camorristiche e bande comuni. Una saldatura che ci dice quanto sia sempre più pervasivo e seduttivo il modello criminale tra i ragazzi. Sono dati che ci dicono di un disagio sempre più evidente. La pandemia con il lockdown e la successiva crisi economica hanno esacerbato certe dinamiche relazionali, facendo aumentare il livello di frustrazione di alcune fasce giovanili, ma il vero nodo della questione è quello che sollevava Pasolini già 44 anni fa, in quell’ultima intervista: «La tragedia è che non ci sono più esseri umani - diceva - ci sono strane macchine che sbattono l’una contro l’altra».

Queste «macchine» sono proprio loro, gli adolescenti obnubilati dagli smartphone, dipendenti dai social, e sempre più votati a possedere e consumare. Assomigliano a quei prigionieri incatenati nella caverna di cui parla il mito di Platone, costretti a guardare delle ombre illusorie scambiandole per verità. Loro, i prigionieri, trovano nella violenza l’unico modo per dare sfogo alla frustrazione di una realtà che non riescono più ad afferrare. Ma questa violenza non è altro che il «fallimento sinistro di un intero sistema sociale», come previde Pasolini. E, in primis, della famiglia e della scuola, i due sistemi educativi che vivono una crisi forse irreversibile, perché i più deboli, i più esposti, e quelli che si sono rivelati - perché disgregati, perché abbandonati - i più impreparati a proporre dei modelli alternativi.

Laddove li propongono, essi si rivelano inevitabilmente fragili, inefficaci contro la sirena irresistibile del consumo e del like che domina incontrastata. E dove il consumo si fa impossibile e i like mancano, ecco che scatta la violenza cieca e sorda. La violenza di chi, non potendo partecipare alla grande abboffata dell’edonismo, non potendo avere e possedere tutto, è indotto a tutto distruggere. Bisognerebbe dunque ripartire da qui, dalle famiglie e dalle scuole, creando attorno a loro una rete concreta di collaborazione, mettendo in campo diverse risorse e competenze, per assisterle, sostenerle nel ripensare un nuovo modello educativo. È forse troppo tardi? È forse troppo utopistico? Può darsi, ma non abbiamo un’altra strada da percorrere, perché davvero «siamo tutti in pericolo».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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