Il rischio di disperdere gli aiuti in mille rivoli

di Enrico Del Colle
Venerdì 16 Aprile 2021, 00:00 - Ultimo agg. 06:30
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Dicono i matematici che se dividiamo una torta di qualsiasi grandezza tra un numero infinito di persone, a ciascuna di esse spetta una quantità pari a zero. 

Naturalmente si tratta di un profilo teorico (e riportato in maniera semplificata), ma come avviene per tutti i riferimenti dottrinali (si pensi agli “eleganti” modelli matematici) la loro capacità interpretativa della realtà risiede nella concreta possibilità di poter valutare con accuratezza quando gli accadimenti si discostano più o meno dal “disegno” teorico. Questa semplice, ma espressiva disquisizione dovrebbe essere oggetto di riflessione da parte di tutti coloro che, ad esempio, hanno presentato emendamenti (circa 3mila) al decreto-legge “sostegni”, dato che all’aumentare eccessivo delle richieste di modifiche, si ridurranno significativamente gli importi da attribuire ad ogni aiuto. Tutto ciò determina una forte penalizzazione un po’ per tutti, ma soprattutto per i settori che, in questo periodo di pandemia, hanno sopportato i maggiori sacrifici. 

Lo stesso discorso può aprirsi per quanto attiene al prossimo scostamento di bilancio (intorno ai 40 miliardi) ed anche alla prossima legge di bilancio, per non parlare poi dei fondi del Recovery Plan, anche se in quest’ultimo caso, i “sentieri” di spesa sono ben delineati. Insomma, appare sempre più necessario proseguire con le misure di sostegno all’economia, ma occorre che esse siano, seppur gradualmente, più selettive – come puntualmente ha ricordato di recente il commissario Gentiloni – onde evitare di “spalmare” a dismisura le risorse disponibili e di conseguenza compromettere, almeno in parte, la ripartenza del Paese, con possibile “sfilacciamento” del tessuto sociale. Ma a questo punto la domanda è: come graduare le categorie da sostenere? Qualche dato può aiutarci nella risposta: prendiamo, ad esempio, gli effetti della crisi sul sistema produttivo e osserviamo (fonte Istat) come essi siano stati alquanto discordanti, con il 45% delle imprese (espressione del 20,6% dell’occupazione) operativamente a rischio (specialmente per quei settori a bassa intensità tecnologica) e con l’11% (rappresentativo del 46,3% dell’occupazione) marginalmente coinvolto dalla crisi; particolarmente “rovinose” sono state poi le conseguenze nel comparto turistico (meno 60% circa per gli arrivi nel complesso). 

Si segnala, inoltre, come nel terziario il rischio strutturale appaia molto alto, con valori compresi tra l’85% e il 95% nei settori della ristorazione e dei servizi alla persona.

Va detto, inoltre, che in questi primi mesi dell’anno, la situazione appare in continua, ma contrastata, evoluzione: la produzione industriale mostra una costante ripresa rispetto al mese precedente (più 1,0% a gennaio e più 0,2% a febbraio, fonte Istat), così come il commercio al dettaglio (più 6,6%, particolarmente nei settori non alimentari). 

In controtendenza troviamo le imprese individuali, con un valore aggiunto in caduta libera (meno 11% nel 2020) e le famiglie consumatrici, con una perdita di potere d’acquisto pari al 2,6%, frenata, comunque, dalle misure di sostegno. Come è facile constatare, la questione non è di facile approccio e specialmente non è di semplice soluzione, anche perché la tenuta competitiva delle imprese dipende pure dalla loro capacità di penetrare nei mercati internazionali. Se poi combiniamo il tutto con il notevole ritardo con il quale arranchiamo sulla riforma degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive del lavoro (riforma ritenuta prioritaria da Bruxelles insieme a quelle della giustizia civile, del codice degli appalti e della Pubblica Amministrazione), le difficoltà di agire con efficacia si moltiplicano, anche se gli spazi per operare in modo specifico e chirurgico non mancano. 

Dunque, con un Pil stimato in crescita quest’anno soltanto del 4,1% (meno della metà della contrazione del 2020, fonte Confindustria) e ricordando sempre che le risorse destinate nelle diverse direzioni sono debiti che prima o poi dovranno essere rimborsati, è giunto il momento di osare - operando con tempestività, coraggio e razionalità - con l’auspicio che l’azione legislativa abbia come unico obiettivo la ricostruzione del Paese e non il consenso politico ed elettorale. 

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