Recovery plan e ferrovie, nelle schede Ue si riduce la quota del Sud

Recovery plan e ferrovie, nelle schede Ue si riduce la quota del Sud
di Marco Esposito
Sabato 8 Maggio 2021, 23:40 - Ultimo agg. 9 Maggio, 19:45
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Come si traduce in inglese la frase «più del 50 per cento del totale degli investimenti in infrastrutture è diretto al Sud»? Così: «Overall, railway investments in the South of Italy under the Rrf are estimated to amount to around 40% of total investments». Le parole di Mario Draghi comunicate al Parlamento per chiedere il via libera al Pnrr (Rrf nella sigla europea), cambiano forma e soprattutto sostanza nelle schede tecniche inviate a Bruxelles. Tradurre è un po’ tradire, si sa, ma qui siamo di fronte a un oltre il 50% che si ridimensiona al 40% e il riferimento è alla «Missione 3», quella per le infrastrutture, ovvero la sezione del Recovery, tra le sei missioni, con il maggior impegno al riequilibrio.


Non è un bel segnale, in un campo nel quale le Ferrovie hanno storicamente investito appena il 22% nel Sud, creando un forte divario com’è evidente nel servizio sia per la rete ad alta velocità, sia per quella regionale. Nelle schede inviate a Bruxelles - circa 2.700 pagine - si possono perdonare svarioni come la linea Circumvesuviana ribattezzata «Naples junction or Circumetnea», mentre si comprende meno l’approssimazione sul tema decisivo della allocazione territoriale degli investimenti.

Al punto che gli europarlamentari del Sud Italia, su iniziativa di Andrea Cozzolino (Pd), si stanno attivando per chiedere chiarimenti direttamente a Draghi. E l’esponente dei Verdi Rosa D’Amato ha depositato un’interrogazione alla Commissione Ue sui progetti sponda. 

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I punti critici sono tre, anzi quattro: i progetti già finanziati, i progetti non territorializzabili e il rapporto tra finanziamenti chiesti all’Europa e fondi nazionali. Il quarto caso è la carenza di trasparenza, che le migliaia di pagine di schede e allegati non risolvono, precondizione per tutti gli altri. Ma andiamo per ordine.


Nella prima versione del Pnrr per ogni iniziativa si specificava se era un nuovo intervento oppure un progetto già finanziato. Nella versione finale, l’appunto sparisce e si sa soltanto, nel capitolo conclusivo del documento “Italia domani”, che i progetti già finanziati ammontano a 69,1 miliardi su 236 miliardi. Per la gran parte di essi, l’impatto entro il 2026 su occupazione, la crescita, l’ambiente sarà ufficialmente nullo, zero. Il caso più clamoroso è la ferrovia Napoli-Bari. Su questo singolo intervento l’Italia ha consegnato a Bruxelles un dettagliato dossier di 135 pagine con l’analisi dei costi e dei benefici. Ma in realtà è tutto già archiviato: i progetti sono approvati, i bandi sono chiusi, i lavori in corso. Nessun posto in più sarà creato rispetto alla situazione senza pandemia e Recovery Plan. Nessuna impresa tedesca, spagnola, olandese e neppure italiana potrà beneficiare di un capitolo già passato. L’operazione ha un mero sapore finanziario, anche se in nessun punto del dossier si precisa quanto l’Italia preveda di risparmiare per interessi. Idem per la Palermo-Catania. Qualcosa di nuovo entro il 2026 ci sarà? Sì: il tratto Battipaglia-Romagnano al Monte, 33 chilometri, e 35 chilometri tra Potenza e Metaponto. Non mancano i binari da realizzare dopo il 2026, fino a Reggio, però senza alcun riferimento al Ponte.


Il secondo punto sono i progetti «non territorializzabili». Quando Draghi ha annunciato che il 40% del Pnrr va al Sud, quota che sale al 53% per le infrastrutture, ha specificato che si fa riferimento alle «risorse territorializzabili del piano» perché ci sono interventi considerati di sistema, per un totale di 16 miliardi, che cioè non puoi assegnare a nessun luogo in particolare. Se viene meno il 53% nelle infrastrutture, cade pure il 40% generale. Nella Missione 3, la principale voce non territorializzata è lo sviluppo del sistema di controllo a distanza del traffico ferroviario, in sigla Ertms. Vale quasi 3 miliardi di euro e se la togli dal conto, cresce la quota del Sud su quel che rimane. L’Ertms è davvero così etereo da non poter essere attribuito ad alcun luogo? No. E lo dimostrano 14 pagine di schede inviate a Bruxelles con l’elenco dei tratti interessati. Dei 178 interventi, i primi 66 sono al Centronord, poi ne spunta uno al Sud: Roccasecca-Avezzano. La ripartizione territoriale quindi è possibile, ma la sensazione è che il Mezzogiorno pesi pochissimo (circa il 10%) per cui si è preferito depennare la voce Ertms dal conteggio.

Ricostruire i numeri, insomma, è quanto mai difficile perché si sovrappongono diverse azioni: il Pnrr in senso stretto - che vale 191,5 miliardi ed è di diretto interesse dell’Europa - e il fondo complementare da 30,6 miliardi, da spendere secondo gli auspici entro il 2026, stavolta senza un vincolo cogente visto che sono soldi italiani. Non c’è traccia della ricaduta sul Sud voce per voce. Di tutte le linee di intervento del Pnrr, la più imponente è proprio la M3C1, quella delle ferrovie, con 24,77 miliardi da investire entro il 2026 con la quota del Sud anche qui implicita; ma appare più vicina al 40% scritto in inglese nelle schede che al 50% raccontato ai parlamentari il 26 e 27 aprile scorso. Certo: dopo quindici anni d’investimenti ferroviari nel Mezzogiorno intorno al 22%, salire al 40% è un passo avanti. Basta dirlo, però, che quello è il vero livello programmato: per serietà.

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