Le note stonate della Scala ​e del San Carlo

di Stefano Valanzuolo
Sabato 31 Luglio 2021, 00:00
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Ci sono gesti che andrebbero fatti, a prescindere dal trasporto grande o piccolo che li induca. Ci sono gesti che farebbero parte di un galateo non scritto, ma inderogabile. 

Che Riccardo Muti sia uno dei massimi direttori d’orchestra del nostro tempo è cosa assodata. Che alla propria città di nascita (e formazione musicale) sia legato da un rapporto non casuale di appartenenza è confermato anche dalla cronaca degli ultimi due giorni: con la sua presenza al Conservatorio di San Pietro a Majella, ieri, e poi a Scampia, oggi, è chiaro che Muti non abbia inteso fare un dispetto a nessuno, ma semplicemente compiere un atto di riguardo verso Napoli, eletta a cornice esclusiva, forse unica, di un compleanno importante, l’ottantesimo. La città, come si conviene, lo ha ripagato, premiando con attenzione, mediatica e reale, una felice incursione che - incastrata tra obblighi familiari, istituzionali e professionali - non era affatto scontata.

Mezzo mondo ha festeggiato il Maestro, nei giorni scorsi, mezzo mondo ha inviato messaggi di auguri, ufficiali e non. Il San Carlo non si è unito al coro, e la Scala neppure. A prescindere da quali siano (se ci siano) motivi effettivi di incomprensione o d’attrito, ci sarebbe stato il famoso galateo non scritto, appunto, di cui tener conto. Ma andiamo per ordine. 

Capitolo Napoli. Non faremo finta di ignorare che i rapporti tra Muti e il soprintendente del San Carlo, Stéphane Lissner, siano tutt’altro che cordiali. I motivi e gli effetti di questa scarsa sintonia sono stati varie volte esposti e non lo saranno oggi, ché la cosa c’entrerebbe poco.

Ma una cosa è Lissner e un’altra è il San Carlo, pur col massimo rispetto per il ruolo decisivo che riveste il manager francese. Gli auguri a Muti, ove mai fossero stati formulati, sarebbero stati quelli della Città ad un suo figlio d’arte illustre, resi attraverso la voce e il marchio della più rappresentativa delle istituzioni musicali napoletane. Non un gesto personale, dunque, ma un gesto pubblico e, forse, dovuto, anche solo per educazione. Vero è che il sindaco de Magistris, assommando al ruolo di Primo cittadino quello di presidente del cda sancarliano, ha voluto coinvolgere, nel proprio messaggio di felicitazioni per il compleanno, anche il teatro: ma il suo è sembrato, più che altro, un atto formale, mosso persino da un certo imbarazzo.

E, in ogni caso, non è tra gli scranni dei consigli statutari che riposa la fortuna, la gloria e la sostanza di un teatro come il San Carlo, ma nella sua immagine quasi tricentenaria, nella memoria collettiva che si fa storia, nella forza delle sue masse artistiche, che pure a Muti rivolgevano parole gentili tra le pieghe del loro endorsement a Lissner di qualche settimana fa, ma che non hanno trovato il tempo per indirizzare una parola di auguri ad un pezzo di storia della musica internazionale e, non casualmente, anche napoletana. Peccato.

Sarebbero da ascrivere al rango di gaffe, questi auguri mancati, se non fossero, invece, frutto di una scelta. E allora il silenzio - qualsiasi presupposto lo origini – amplia il solito gap tra il Teatro e una Città di cui, troppo spesso, vengono sottovalutati segni e simboli, seguendo i principi saggi del Marchese del Grillo…

Passando a Milano, qualcuno tirerà in ballo le scintille tra Muti e Chailly dopo il concerto alla Scala dello scorso 11 maggio per giustificare la freddezza da parte del teatro milanese. Ma il malessere, da quelle parti, ha radici più antiche e passa soprattutto per un rapporto, quello con l’orchestra scaligera, che per venti anni ininterrotti (dal 1985 al 2005) è stato foriero di successi internazionali ragguardevoli, e a seguire, invece, soprattutto di rancori malcelati e a noi oscuri. Occorrerebbe, pure in questo caso, saper discernere le opinioni dei singoli o dei singoli comparti da quelle istituzionali, anteponendo le ragioni del Teatro a quelle pubbliche (culturali, sociali, politiche, d’immagine) ed evitando di attivare la classica “damnatio memoriae”, sempre ingiustificabile. Dirigenti e direttori, seppure assenti “all’epoca dei fatti”, non possono chiamarsi fuori, in circostanze come questa.

È probabile che Muti non si stia stracciando le vesti per le cartoline di auguri mai recapitate anche perché le altre, quelle giunte a destinazione, sono molte di più. Noi, che ci stupiamo ancora per queste piccole cadute di tono, invece, passeremo per grilli parlanti e petulanti. Sempre meglio che narcotizzati. 
 

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