Sono passati anni dall’emergenza rifiuti. Se uno di noi ricorda quei giorni, sicuro mette su un’espressione di disgusto. Perché a parte la presenza fisica e opprimente dell’immondizia, e certo l’odore era nauseante, c’erano tante altre questioni legate al ciclo dei rifiuti che provocavano disgusto. Per esempio, quell’atteggiamento culturale così particolare che si può riassumere nell’espressione: allontana (i rifiuti) e dimentica.
E poi, come in un loop infernale, c’erano i roghi, gli sversamenti illegali e un senso di scoramento perché il problema sembrava insormontabile: parlavamo tutti in quei giorni, e tutti eravamo concentrati sui problemi, sapevamo descriverli così bene, a menadito, e infatti tutti eravamo d’accordo sulla gravità della situazione. Eppure ogni volta che affrontavamo la questione soluzione, bè allora cominciavamo a litigare.
Vuoi l’inceneritore? Sei di Destra, vuoi la raccolta differenziata, sei di Sinistra, vuoi la raccolta porta a porta? Allora, sei (dell’allora) di Rifondazione, vuoi rifiuti zero, sei quello duro e puro. Bene, tempo è passato da quell’anno orribile (2007/2008) e se uno oggi dovesse spiegare con franchezza a che punto siamo, la risposta sarebbe una.
E cioè, se dopo il disgusto, le lotte, il nervosismo, la concentrazione sui problemi, abbiamo davvero trovato una o più, ragionevoli, soluzioni, la risposta è «no»: quel complesso di cose che ha innescato lentamente la crisi, per disamore e per presunzione, quel complesso è ancora lì, inamovibile. A parte che i roghi che si accendono ancora, le bonifiche non sono cominciate, ma poi tutto poggia su una sorta di fragilità sistematica, per cui, come le vecchie catene di montaggio delle fabbriche, basta che si bloccava un reparto e per effetto domino veniva giù tutto: siamo in una crisi ciclica. Eppure non è così difficile trovare la soluzione, davvero. Non che non siano mai state avanzate ipotesi sensate, non è che abbiamo navigato sempre a vista o nel torbido, alcuni governi, per esempio, avevano proposto un sistema diffuso di termovalorizzazione, ogni provincia poteva, anzi avrebbe dovuto, averne uno, piccolo e ben funzionante e controllato con tutti i crismi del caso. Insomma, qualcuno ha proposto di entrare in Europa, visto che per esempio termovalorizzatori sono presenti a Parigi a poche fermate di metro dal centro, a Vienna e altre città. Noi invece, almeno a considerare la discussione sul da farsi, dei due vice premier, Salvini e Di Maio siamo ancora all’allontana e dimentica. Siamo ancora lì concentrati sui problemi e immaginiamo, come del resto è avvenuto in questi anni, soluzioni sperimentali, da laboratorio partenopeo, tutta creatività e poca misura. Ora questo laboratorio autarchico, sì, ha messo d’accordo i patrizi e i plebei, ma alla fine, se andiamo a concretizzare e sommare i fatti, questo esperimento non ha risolto alcunché. Senza una misura condivisa, senza la volontà di agire e controllare, alla fine siamo sempre lì, allontaniamo i rifiuti (cioè li spediamo lontano) e dimentichiamo che fine fanno. Tra l’altro culturalmente parlando questa pratica rischia di diventare cattiva abitudine, cioè, alla fine, butto tutto per strada, tanto poi qualcuno li allontana. Meglio sarebbe conoscere l’intero ciclo, meglio sarebbe mettersi d’accordo sulla scala di priorità. Per esempio, sappiamo che 150 mila caldaie domestiche, a Firenze, inquinano più di 100 termovalorizzatori di media portata. Sappiamo che il 98% dei gas che alternano il clima derivano dai milioni di veicoli, dalle caldaie domestiche, appunto, e dalle migliaia di impianti industriali, comprese le centrali elettriche alimentate a carbone. Naturalmente non blocchiamo con dei no perenni il traffico e nemmeno l’industria, ci limitiamo a proclamare qualche domenica ecologica che mette d’accordo tutti e scontenta allo stesso tempo tutti. Chissà se invece di dividerci in ottimisti e pessimisti, e discutere sul bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno, noi per primi e poi di seguito (si spera) i nostri politici, ci affideremo alla misura: quant’acqua c’è nel bicchiere? Quanta diossina si produce in un inceneritore? Rispetto a cosa, cioè, rispetto a che numeri può dirsi pericoloso un inceneritore? La misura serve a scegliere, con senso di responsabilità. Le chiacchiere invece servono a pavoneggiarsi all’interno del nostro gruppo, a garantirci l’elettorato e la poltrona, ma i rifiuti possono essere sì allontanati ma non dimenticano.
Rifiuti, dopo dieci anni siamo ancora alle chiacchiere
di Antonio Pascale
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Giovedì 15 Novembre 2018, 22:51
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