Rogo Città della Scienza,
la Procura non molla:
battere la pista interna

Rogo Città della Scienza, la Procura non molla: battere la pista interna
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 22 Novembre 2018, 22:36
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È chiaro che sono stati loro. È chiaro che la pista interna resta centrale nell’ottica della Procura. Attesa per la lettura delle motivazioni dell’assoluzione del custode di Città della scienza, nessuna voglia di ammainare bandiera bianca. Anzi. Il provvedimento firmato due giorni fa (che cancella la condanna in primo grado a sei anni per il vigilante Paolo Cammarota) non ha spostato di una virgola una convinzione di fondo. Quella della pista interna per spiegare l’incendio che - la notte tra il tre e il quattro marzo del 2013 - divorò il museo avveniristico di Coroglio. Dunque una trama costruita su più livelli, orchestrata non in una notte, in quella manciata di minuti serviti a mandare in fumo tutto, ma in un lasso di tempo decisamente più ampio.

L’ASSICURAZIONE
Facciamo un passo indietro. Anno 2011, Città della scienza viene assicurata contro gli incendi colposi e dolosi. Otto milioni di euro, da pagare sull’unghia in caso di roghi. Come poi realmente è avvenuto, tanto che un paio di anni fa il «premio» assicurativo è stato inserito nel bilancio della nuova città della scienza. Ma torniamo alla notte in cui tutto va in fumo. Indizi contro Paolo Cammarota, abilmente demoliti in appello dai penalisti Luca Capasso e Antonio Tomeo, agli atti finiscono testimonianze che fanno capire sin dall’inizio che lì dentro è accaduto qualcosa di strano. Andiamo a rileggere le parole di uno dei vigili del fuoco: «Sono anni che faccio questo lavoro, non avevo mai visto nulla di simile. Quelle fiamme, quelle lingue di fuoco altissime che divorano tutto, che rendono impossibile ogni intervento». Hanno rischiato la vita, quei vigili del fuoco e hanno notato una cosa: l’indifferenza del custode nell’aprire la porta di Città della scienza, la sua assoluta estraneità a quel disastro che si sta consumando alle sue spalle. «Eppure - spiega un vigile - quando arriviamo in certi posti troviamo gente sconvolta».
È innocente: va detto e ribadito. E non basteranno suggestioni sulla stranezza del suo contegno a dimostrare il contrario, mentre nel cuore del processo entrano anche altri spunti.

LA TRATTATIVA
Come il clima infuocato che si registra nei giorni precedenti all’incendio, per la decisione dei vertici aziendali di escludere alcuni dipendenti dalla cassa integrazione. Clima di nervosismo che spinge qualcuno ad attrezzarsi per tempo, fino all’appuntamento decisivo, fino al punto di non ritorno. E qual è il point break di questa storia? Lunedì mattina, ore di nervosismo a Coroglio. A Napoli è sprofondata una strada, anzi, la strada per eccellenza, parliamo di via Riviera di Chiaia, con il crollo di Palazzo di Bovino (per un miracolo niente morti). C’è chi capisce che la trattativa è saltata e che bisogna dare una lezione. Chi è stato? Hanno agito in tanti, certo non un solo incendiario. Si contano sei innesti (anche se per la difesa di Cammarota ce ne sono addirittura venti), si lavora per tempo. Nel corso del pomeriggio viene introdotto il liquido infiammabile (anche se potrebbe essere stato introdotto giorni prima), il set dell’incendio perfetto è pronto. 

L’ALLARME
La storia dell’allarme è un altro capitolo controverso nel corso del processo a Cammarota. Ai pm, l’imputato ha spiegato di non ricordare il codice che staccava o inseriva l’allarme, cosa che risulta contraddetta dalle testimonianze dei colleghi di lavoro, che erano invece tenuti a conoscere il codice. Fatto sta che l’allarme non è scattato e le fiamme sono salite in alto, molto in alto, prima che qualcuno – dal borgo di Coroglio - si decidesse a chiamare i vigili del fuoco. Strana storia, quella delle fiamme che nessuno ha visto per decine di minuti. Rappresentati dal penalista Giuseppe De Angelis, quelli di Fondazione Idis chiedono che ora il processo vada avanti. Esclusa la camorra, la pista interna, dunque: ma chi è stato ad aprire la porta e a favorire gli incendiari? Non quelli del teatro le Nuvole, gli unici presenti sul posto, neppure i vertici di Fondazione Idis. Sentiti in questi anni dai pm, sono rimasti fuori dalle indagini sin dal primo momento: Vittorio Silvestrini rimasto choccato dal rogo della sua creatura, e lo stesso Enzo Lipardi, l’ex segretario generale, che con Silvestrini ha rotto appena un anno fa un idillio durato decenni. Quella notte avevano tutti un alibi di ferro, quel lunedì sera erano in casa o al cinema in una sala affollata. 
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