Da Vinci icona come Warhol: «Trasformato dal marketing ma è un acquisto anomalo»

Da Vinci icona come Warhol: «Trasformato dal marketing ma è un acquisto anomalo»
di Simona Antonucci
Venerdì 17 Novembre 2017, 00:50
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ROMA «Diciannove minuti di “Wow”, “Nooo” e brusio ininterrotto. Ma dopo l’ultimo colpo di martello eravamo tutti ammutoliti», racconta Pepi Marchetti Franchi, direttore presso Gagosian che l’altro ieri a New York da Christie’s ha assistito all’asta del Salvator Mundi di Leonardo, insieme con Larry Gagosian, tra i più noti galleristi e collezionisti d’arte contemporanea al mondo, e un parterre da occasioni speciali, e immense possibilità economiche, che andava dalla moglie di Abramovich all’artista Gerhard Richter. «Colpi di scena e rialzi improvvisi», continua, «un’atmosfera assolutamente inedita per l’ambiente degli Old Masters. Ma persino per l’arte contemporanea. È rarissimo che si compri un’opera a più del doppio del valore precedente. Un investimento anomalo». 

IL TOTO-NOMI
Un applauso liberatorio al momento dell’offerta vincente arrivata per conto di Alex Rotter, co-presidente del dipartimento di Arte contemporanea della casa d’aste, e poi il tam tam di voci sul misterioso compratore-Paperone. Una cordata di acquirenti? Bill Gates? «È stato uno dei tanti nomi a circolare, forse, per un suo antico interesse, dal Codice Hammer». Sembrerebbero esclusi i musei: «Molto difficile», aggiunge Pepi Marchetti, responsabile della sede romana di Gagosian, «che abbiano certe disponibilità economiche». Mentre il Louvre di Abu Dhabi, che pure ha fondi a dismisura, forse non sceglierebbe un dipinto con un carattere religioso. Una cosa sembra chiara: il mondo dell’arte è entrato nell’universo della finanza e le opere possono essere considerate al pari dei fondi d’investimento. «I consorzi per acquisti importanti esistono nel mondo dell’arte come in qualsiasi altro settore, ma è difficile che si trovi un accordo su una cifra così alta che consente pochi margini di guadagno. Poi, certo, può succedere di tutto, come si è appena dimostrato». «E comunque», conclude, «durante la stessa asta, è stato venduto un Cy Twombly del 2005 per 46 milioni di dollari. Pagare un Leonardo, forse l’ultimo, dieci volte tanto, non è poi un’assurdità». Le voci più insistenti parlano di compratori orientali, disposti a qualsiasi cifra e sensibili più al mondo delle aste, che a quello museale. L’operazione, che ha portato alla vendita record di oltre 450 milioni di dollari, è cominciata mesi fa con una passerella mondiale del capolavoro che ha viaggiato da San Francisco a Hong Kong, e un’esposizione nella sede della Grande Mela che ha richiamato 30mila visitatori e tantissimi vip come Di Caprio. «Uno studio di marketing», spiega Bartolomeo Pietromarchi, direttore di Maxxi Arte, anche a lui a New York per l’associazione di sostenitori del museo romano, «che ha trasformato il Salvator Mundi in un’icona pop. Neanche fosse Andy Warhol». La vendita di Leonardo era infatti inserita in un appuntamento della casa d’aste dedicato al contemporaneo: e per gli addetti ai lavori quelli di novembre e di maggio sono considerati imperdibili. «Riuscire a trasformare un’opera in un oggetto del desiderio - aggiunge Pietromarchi - è la filosofia alla base di vendite milionarie, come è successo per Koons, Hirst o Raushenberg». 
 
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