Samuele, il dolore che reclama la verità

di Titti Marrone
Domenica 19 Settembre 2021, 00:00 - Ultimo agg. 08:00
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L’immensa fortuna che abbiamo davanti ci trova ciechi, non la scorgiamo. Nasce dal privilegio di alzarci ogni mattina. E entrare in giornate in cui possiamo vedere i nostri bambini crescere sani, girare per casa, giocare, studiare. Poi succede una cosa tremenda come quella avvenuta in via Foria al bambino Samuele. Volare giù dal balcone a quattro anni, chissà come, chissà a causa di chi o di che cosa.

Nel lessico sbrigativo della quotidianità, e anche in quello della cronaca, quest’evento si classifica come tragedia, ma non basta a racchiudere il dolore lancinante, l’assurdità dell’avvenimento. Forse bisognerebbe trovare un’espressione nuova. Perché la parola tragedia evoca il teatro, i suoi archetipi, le immagini dei miti, le figure dell’inconscio. Nella storia del volo di Samuele invece ci sono soprattutto due cose. Lo strazio senza ritorno e la gratuità dell’accaduto. Lo strazio del padre e della madre, quindi di tutti i parenti e delle persone vicine a loro ed al piccolo, si può solo immaginare. È così grande da uscire dai balconi e attraversare gli scuri, andare fuori dal portone del palazzo e spandersi per tutto il quartiere, raggiungendo e coinvolgendo la gente che ci vive e oggi porta fiori nella consapevolezza che non sarà più possibile passare di lì senza alzare gli occhi in su e guardare quel balcone, senza provare la pena di pensare a quella povera famiglia in attesa di una seconda creatura, ma in una vita su cui si è come abbattuta una folgore. Perché non ci sarà più Samuele a crescere sano, girare per casa, giocare, più avanti anche a studiare, poi anche a mostrare al fratello più piccolo come si fa.

Nulla sarà più come prima con quel dolore da cui non è possibile ritorno. E lo strazio dei genitori salda insieme la condanna all’evento innaturale di dover sopravvivere al proprio bambino con la circostanza in cui è avvenuta la sua morte.

C’è un uomo, il loro domestico, dalla salute mentale forse precaria, che lo aveva in braccio chissà perché, ma si difende e nega di averlo scaraventato giù. Solo se ci sovrastasse una sorta di telecamera gigantesca in grado di fissare anche immagini e momenti privati, solo se così si riuscisse a far retrocedere i fotogrammi della realtà, si potrebbe forse appurare con certezza che cosa è veramente accaduto su quel dannato balcone. Se per caso il video acquisito agli atti dagli inquirenti per le indagini, quello in cui il bambino dice “te jetto abbascio”, ti butto giù, contenga un indizio rivelatore o solo una specie di sinistro presagio.

Può anche darsi che non sapremo mai com’è andata veramente, cioè che la caduta dal balcone non sia ricondotta al disagio mentale e quindi alla responsabilità del domestico, ma venga rubricata come incidente. In ogni caso è e resterà un evento gratuito, insensato. È ciò che non doveva accadere, lasciando dietro di sé un inutile dolore, rovesciando su quella povera famiglia l’immensa sfortuna del volo di Samuele. 

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