Quante volte bisognerà dire “restart” a Scampia per ripartire davvero? Quanti nastri bisognerà tagliare ancora? Quante passerelle montare? Quanti riflettori accendere? Quante telecamere chiamare, quanti applausi sollevare? Quante dichiarazioni altisonanti prima di metterlo in moto davvero, una volta e per sempre, questo infinito cantiere della rinascita, che sembra la fabbrica di San Pietro: ogni sera si crede completata e ogni mattina si riscopre incompiuta?
Il nuovo, incredibile, stop al “Programma Restart Scampia”, che tiene paralizzato da luglio il cantiere della Vela verde e non fa avanzare il piano complessivo con lo svuotamento delle altre vele e la rigenerazione del quartiere, fatica a questo punto anche a trovare un senso. «Consegnato il cantiere per la rigenerazione urbana di Scampia. In 180 giorni sarà abbattuta la Vela A, detta Verde».
Lo annunciava così sul suo sito, a titoli cubitali, il Comune di Napoli, la grande svolta. Era il maggio del 2019. Per avviare, in realtà, l’abbattimento si dovette attendere un altro anno: il primo colpo di gru arrivò il 20 febbraio del 2020. La vela, tra gli applausi, le telecamere, le dichiarazioni roboanti, andava giù ma contemporaneamente si preparava ad andare giù anche il mondo, a causa della pandemia. Venti giorni di lavoro, poi il lockdown. In realtà in quei 70 giorni di blocco totale, quel cantiere avrebbe potuto continuare a lavorare: più distanziati che su una gru è difficile. Ma tutto si fermò lo stesso. I lavori ripresero a metà maggio e per i primi di luglio la demolizione è stata completata. Da allora, però, di nuovo tutto fermo.
Bisognava rimuovere e smaltire i detriti (evento prevedibile), poi edificare su quella superficie nuovi alloggi popolari per procedere al trasferimento degli abitanti di altre vele (prima la Celeste) da abbattere e da riqualificare. Ma le 350 famiglie restano a guardare attonite, dai balconi, da mesi la montagna di macerie; proprio loro che avevano guardato con fiducia al progetto, a quella gru che mangiava anni di degrado, a quel sogno di case basse, piccole palazzine residenziali, che potevano dare luce e dignità abitativa a chi non l’aveva mai avuta.