Scuole, rientro caos: in queste condizioni è meglio la Dad

di Fabrizio Coscia
Lunedì 1 Febbraio 2021, 23:58 - Ultimo agg. 2 Febbraio, 07:00
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Quando la toppa è peggiore del buco, verrebbe da dire. Dopo giorni di polemiche e battaglie legali, il rientro a scuola delle superiori a Napoli imposto dalla sentenza del Tar è stato il trionfo del caos. Tra scioperi e proteste di genitori e studenti, doppi turni, rotazioni e classi in modalità mista (metà in presenza, metà in Dad), un senso di disorientamento ha coinvolto tutta la comunità scolastica. Il lavoro dei dirigenti scolastici e dei loro collaboratori è stato quasi ovunque e ancora una volta, direi, sovrumano, ma l’impressione - amarissima - è che la scuola sia diventata ormai la cartina di tornasole dell’improvvisazione e delle inadempienze amministrative, ma anche un facile oggetto di strumentalizzazione politica. 

È evidente infatti che proprio attorno alla scuola, già segnata da decenni di assalti sconsiderati, si stia giocando una battaglia ideologica che è tutta di facciata: il caso più grave - tanto per fare un esempio - è quello di un ministro dell’Istruzione che parla di «ristori formativi» da chiedere al governo per recuperare un deficit didattico accumulato nel periodo della Dad, sconfessando così mesi e mesi di lavoro svolto dai docenti, che si sono adattati in pochissimo tempo a nuove modalità di insegnamento, con enormi sforzi e dedizione incondizionata.

Come se la Dad fosse stata una formula vuota, una perdita di tempo. Intendiamoci, la didattica a distanza non può sostituire la scuola in presenza, ma è l’unica risorsa da usare nelle situazioni di emergenza. Una risorsa che ha permesso di mantenere vivo il dialogo educativo con i ragazzi in questi difficili giorni di lockdown, di continuare a far sentire la presenza dei docenti anche a distanza, appunto, anche fuori orario scolastico, a volte perfino nei giorni di festa, restando un punto di riferimento costante in un momento di totale smarrimento. 

Perché, dunque, la decisione di riaprire le scuole se l’emergenza è ben lontana dall’essere rientrata? Se siamo alle soglie di una terza ondata? Se i contagi sono sottostimati perché la mortalità continua a crescere? Perché si continua a ripetere come un mantra che le scuole sono «sicure», come se fossero un’isola felice e non una realtà in osmosi con tutto ciò che la circonda? E soprattutto, in che modo è stato deciso questo rientro a scuola invocato come la manna biblica? Il Dpcm, lo ricordo, parla di un rientro almeno al 50% fino al 75% della platea scolastica, che significa, in altre parole, classi che ruotano per evitare assembramenti in ingresso e in uscita. Per lo stesso motivo, il Dpcm impone anche il doppio turno (il secondo dalle dieci alle sedici).

Ma gli assembramenti nelle aule? Come possono stare trenta alunni nella stessa aula per cinque ore di seguito senza creare un rischio di contagio? Ecco, allora, che la richiesta del governatore De Luca diventa un obbligo per quasi tutte le scuole di Napoli: 50% in presenza e 50% in Dad, contemporaneamente. 

Il docente, di fatto, si trasforma in un funambolo strabico, capace di tenere una lezione in modalità mista, un occhio alla classe in aula, un occhio allo schermo del computer. Peccato che i ragazzi da casa non riescono a sentire quello che i compagni in classe dicono, non vedono quello che il prof scrive sulla Lim, e finiscono, inevitabilmente, per sentirsi ai margini, un po’ sfocati come la modalità attivata per gli sfondi di Meet. Lo stesso docente, poi, nell’ora successiva corre in aula docenti per fare la sua lezione a distanza con la classe che ruota, accanto ad altri due o tre colleghi che nello stesso momento stanno svolgendo la loro lezione al computer. Ma può capitare anche che i ragazzi da casa non si colleghino, perché sono le due, e probabilmente stanno pranzando, mentre i loro compagni meno fortunati sono a scuola, costretti a restarci fino alle quattro del pomeriggio. E nelle scuole dove si è cercato di evitare l’uscita così tardi, le ore sono state diminuite a 55 o 50 minuti, che sommati per una settimana e poi per un mese o per quattro mesi fanno molte ore di scuola perse, che si sommano a loro volta alle ore che continueranno a farsi a distanza (con buona pace dei fondamentalisti anti-Dad), alle ore che già questa settimana gli alunni di molti licei di Napoli perderanno per gli scioperi che hanno avviato e alle ore che si perderanno al primo caso di Covid nei singoli istituti.

Insomma, per dirla come un tempo: grande è la confusione sotto il cielo. La domanda però, a questo punto, va posta con decisione: ne è valsa la pena rientrare a scuola in queste condizioni, soltanto per dire che le scuole sono aperte, che funzionano, che tutto va bene? O non siamo piuttosto davanti a un grande spot propagandistico che rischia, però, di aggravare la situazione già critica, e del Paese e della scuola stessa? Che senso ha criticare la Dad, gridare al disagio adolescenziale, alla necessità di socializzazione, per ritrovarci in una situazione che ha del surreale, con ragazzi costretti all’immobilità e con le mascherine per cinque ore di seguito, impossibilitati a parlare con i loro compagni, obbligati a orari insensati e con una Dad che, cacciata dalla porta, è rientrata dalla finestra, ma funzionando molto peggio di prima? 

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