Se il Csm ripropone nomine già bocciate

di Angelo Ciancarella
Lunedì 17 Gennaio 2022, 23:30
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La “sanatoria” che il Csm si accinge ad approvare per riconfermare le nomine del Primo presidente e della Presidente aggiunta della Corte di cassazione già annullate dal Consiglio di Stato la scorsa settimana, rischia di diventare un rammendo peggiore dello strappo.

È l’intero sistema a scricchiolare, non da oggi. Ma da quando il logoramento profondo è stato reso pubblico dall’inchiesta sull’ex consigliere Palamara, poi radiato dalla magistratura, gli scricchiolii assumono lo stesso significato di quelli degli ultimi anni di vita del Ponte Morandi.

Se tutte le nomine degli uffici direttivi generano ricorsi dei perdenti, spesso accolti dal Tar e dal Consiglio di Stato, il fenomeno non è più fisiologico: è il sintomo di regole e comportamenti inadeguati ed è il frutto dell’egualitarismo che avrebbe dovuto tutelare l’indipendenza, e invece la mortifica.
Cominciamo dalle regole, e dall’ottusità nel renderle sempre più minuziose. La riforma del 2006 ha sostituito il criterio dell’anzianità con quello della professionalità, basato sulle valutazioni quadriennali. Ma i magistrati, come si sa, sono tutti bravissimi e le valutazioni tutte “eccellenti”; così lo spazio di manovra del Csm si riduce. Soccorre tuttavia il seguito della norma (articolo 12, comma 11 D.Lgs 160/2006) che valorizza «le pregresse esperienze di direzione, organizzazione, collaborazione (…), con particolare riguardo ai risultati conseguiti, ai corsi di formazione in materia organizzativa e gestionale frequentati anche prima dell’accesso alla magistratura nonché su ogni altro elemento che possa evidenziare la specifica attitudine direttiva». Infine, le delibere del Csm godono di ampia discrezionalità, a condizione che siano ben motivate per non scadere nell’arbitrarietà.

Senonché il Consiglio superiore si è impiccato con la sua stessa corda: in nome della trasparenza e della “oggettività” dei criteri da applicare, nel 2015 ha tradotto le succinte disposizioni della legge in un mastodontico “Testo unico sulla dirigenza giudiziaria”, più volte aggiornato: cento pagine fra relazione e articolato, più altre 200 di allegati. Il candidato soccombente troverà sempre il modo di argomentare l’incongruenza della scelta, e la giustizia amministrativa riconoscerà, come in questo caso, che la «valutazione si mostra gravemente lacunosa e irragionevole».

All’autosoffocamento regolatorio si aggiungono i comportamenti inadeguati.

Scelta la via dei criteri dettagliati, bisognerebbe seguire un percorso obbligato e prendere atto del risultato, nominando Tizio anziché Caio. Invece, prima si sceglie Caio (non necessariamente per motivi ignobili o correntizi, magari per una stima condivisa dalla maggioranza dei consiglieri, purtroppo priva di riscontri fattuali nei titoli sempre eccellenti dei concorrenti, dei quali è impossibile confrontare limiti, difetti, errori giudiziari): «esaminati approfonditamente i fascicoli personali degli aspiranti e la documentazione depositata, il dottor Pietro Curzio risulta senza dubbio il magistrato più idoneo, per attitudini e merito, al conferimento dell’ufficio messo a concorso», recita la proposta di nomina del luglio 2020, alla settima delle 90 pagine di motivazione. Poi, dopo 15 pagine di curriculum zeppo di aggettivi, nelle restanti 65 si motiva la prevalenza rispetto ai «profili recessivi» degli altri otto candidati, tra i quali il ricorrente Spirito.

Non basta l’ipocrisia a rendere sostenibile un procedimento simile: occorrerebbero dosi massicce di rigore logico (fosse pure di scuola sofistica…) e un po’ di cinismo. Ma il Csm neppure questo sa fare. Il Consiglio di Stato fa il suo mestiere, con eccesso di zelo per la verità: annulla la nomina e chiede di «riprovvedere», nella «piena ed esclusiva discrezionalità delle valutazioni di merito sulla prevalenza di un candidato rispetto agli altri». Non sfugga il risultato: alla delegittimazione del Csm si aggiunge quella dei vertici della Cassazione, quale che sia la formula magica con la quale domani il plenum restituirà le funzioni ai due alti magistrati, in vista della relazione inaugurale dell’Anno giudiziario davanti al Presidente della Repubblica Mattarella, da due anni inascoltato sollecitatore della riforma (e forse troppo fiducioso sulla residua funzionalità di un organo travolto da numerose, ma insufficienti dimissioni e sostituzioni).

Il governo è in carica da quasi un anno e gli annunciati emendamenti al testo dell’ex ministro Bonafede, sempre imminenti, non arrivano mai in Parlamento a causa della mancata intesa sulla riforma elettorale. Le regole elettorali sono importanti, ma alla luce di quanto accaduto e detto, non sembrano più l’elemento principale. Il Csm non va riformato: va rifondato.
 

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