Se il voto non corregge i vizi della storia

di Isaia Sales
Sabato 25 Gennaio 2020, 23:00 - Ultimo agg. 26 Gennaio, 08:00
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Si vota oggi in una delle regioni più ricche d’Italia e in una delle più sottosviluppate; in una delle regioni più avanzate nel campo delle infrastrutture viarie, ferroviarie, produttive e in una di quelle dove non c’è ancora il collegamento ferroviario con il porto di Gioia Tauro e l’alta velocità è considerata un lusso; in una delle regioni di eccellenza nei servizi ai cittadini (a partire dalla sanità) e in una di quelle da cui si scappa per farsi curare. L’Emilia Romagna e la Calabria fanno parte della stessa nazione eppure le distanze fisiche, economiche e sociali sono impressionanti. Una è collocata nel centro produttivo dell’Italia, l’altra ai suoi confini geografici e civili. Una è già da tempo inserita nel cuore economico dell’Europa, l’altra è come se dovesse ancora entrare in Italia. La Calabria è una specie di isola sul continente, l’Emilia un avamposto europeo in Italia. Un confronto, dunque, tra un’Italia “minore” e un’Italia “maggiore”, tra un’Italia “estrema” e un’Italia “centrale” più che una semplice differenziazione geografica tra Nord e Sud. L’Emilia-Romagna ha un’economia così solida che se dovesse crollare o rallentare trascinerebbe nella recessione l’intera nazione; ma se la Calabria crescesse ai livelli economici dell’Emilia Romagna (in un congruo numero di anni) l’Italia si trasformerebbe nella prima economia dell’Europa. Queste due regioni rappresentano, quindi, l’Italia di oggi (nel bene e nel male) e potranno condizionare quella di domani.

Eppure in queste due realtà così lontane e divise i temi dominanti della campagna elettorale sono quasi simili: la sicurezza, la paura degli immigrati e il timore del futuro. Il punto centrale dello scontro politico non è, quindi, come garantire continuità ai risultati già raggiunti in Emilia-Romagna o come invertire la tendenza che da anni fa competere la Calabria solo con la Campania per accaparrarsi l’ultimo posto nella graduatoria dei servizi. Niente affatto. Al centro ci sono questioni sulle quali niente potranno fare i diversi schieramenti una volta alla guida delle due regioni. L’Emilia è descritta come una landa assediata da spacciatori e violentatori, e in Calabria il tema della liberazione dagli immigrati sembra essere superiore a quello della liberazione dalla ‘ndrangheta! I due schieramenti sembrano differenziarsi per essere l’uno “imprenditore della paura” (il centrodestra) l’altro della “speranza impotente” (il centrosinistra) e il terzo (i Cinquestelle) che si è messo fuorigioco per tutelare un’identità indefinita.

Poteva essere, invece, un’ottima occasione per fare il punto sul ruolo che le Regioni hanno avuto in Italia dalla loro nascita ad oggi. Se cioè hanno rappresentato un elemento di maggiore coesione della nazione, oppure un ulteriore fattore di differenziazione. Sono state le Regioni a rendere così diversa l’Italia o esse hanno solo sancito (e tutt’al più accentuato) quello che già era distante prima della loro nascita? La risposta è semplice: le Regioni hanno ulteriormente accentuato divari già esistenti. E se si può dire che i divari economici non sono stati determinati dalle politiche regionali (perché essi dipendono in gran parte dalle forze di mercato) quelli nei servizi ai cittadini (sanità, trasporti, asili, assistenza all’infanzia e alla terza età, etc.) sono in gran parte attribuibili alla presenza delle Regioni. In questo modo a un divario economico, esistente già prima della nascita delle Regioni, si è aggiunto un divario civile e infrastrutturale notevole dovuto al diverso modo di operare e di governare le nuove istituzioni. 

Insomma i divari economici in gran parte dipendono dagli attori di mercato, quelli sociali e civili sono condizionati dall’azione politica e istituzionale. Ma non necessariamente ad economie territoriali diverse corrispondono servizi così differenziati. Una distanza così ampia nei servizi di base si riscontrano solo nelle regioni italiane. Prestazioni sanitarie così diseguali in Italia rappresentano un caso unicoin Europa. Il regionalismo in questo campo ha comportato la lesione di diritti fondamentali di cittadinanza. 

Ci sono però casi in cui la logica di mercato incide anche nella dotazione di infrastrutture civili primarie. Poniamo il caso delle ferrovie che dipendono dallo Stato e non dalle Regioni (si chiamano appunto “Ferrovie dello Stato”). Cioè sono infrastrutture che si costruiscono interamente con i soldi dello Stato, ma la scelta su dove farle dipende dalla richiesta del mercato! Assurdo. Poiché in Calabria e in Basilicata non c’è una adeguata utenza, non si costruisce l’alta velocità; la si fa invece solo laddove si prevedono più utenti. Così è il mercato a decidere le infrastrutture e non l’interesse pubblico. Una particolare modalità tutta italiana di assecondare il mercato con i soldi dello Stato, mentre dovrebbe essere il contrario: condizionare il mercato con le risorse pubbliche. Agendo in questo modo si è creata una “questione meridionale” anche all’interno delle Ferrovie dello Stato sconvolgendo gli intenti che si manifestarono all’indomani dell’Unità d’Italia. La relazione al disegno di legge del 1861 sulle ferrovie parlava della “suprema necessità della nazione di ravvicinare fra loro quanto prima si possa le varie province”. La commissione della Camera dei Deputati, discutendo delle ferrovie calabro-sicule, sempre nel 1861, notava che occorreva costruirle “per fare atto di giustizia distributiva nel novello consorzio delle province italiane, e per correggere rapidamente i vizi della storia e quelli della geografia”. Lo Stato infatti deve provare a correggere i vizi della storia (cioè quelli dei governi locali) e i vizi della geografia (cioè superare gli ostacoli che impediscono di portare i binari in collina o in montagna o di attraversarli con gallerie). Se il Sud non è fatto di grandi pianure, non vuol dire che deve essere per forza un’impresa arrivare con il treno a Matera, a Reggio Calabria o in Sicilia. Una questione questa che non è di competenza regionale ma resta nelle mani del governo nazionale. Non lo dimentichiamo. I trasporti sono uno dei principali strumenti di unificazione delle nazioni; in Italia, invece, sono ancora uno dei principali strumenti di ratifica delle divisioni. Questa una delle principali questioni della Calabria, al di là di chi amministrerà la Calabria. La sfida delle tecnologie è quella di non trasformare la geografia in un limite di cittadinanza.
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