Se l'elettore non capisce cosa si farà per Napoli

di Aldo Balestra
Lunedì 20 Settembre 2021, 23:30 - Ultimo agg. 21 Settembre, 06:00
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Giunti a questo punto, a meno di due settimane dal voto, l’elettore napoletano medio dovrebbe avere più o meno in testa l’idea di città da scegliere, incarnata da questo o quel candidato. Appare molto difficile, però, che sia così. Chi andrà alle urne (anche stavolta occorrerà fare i conti con l’astensionismo) per scegliere il sindaco della terza città d’Italia ha forse già deciso per chi votare, ma senza aver chiaro cosa voglia fare il “suo” sindaco per Napoli.

To do what, dicono gli anglosassoni. Per fare cosa sono in campo i candidati? È difficile avere oggi consapevolezza dei punti fondanti dei loro programmi, in una campagna che pure faceva sperare, dopo la traumatica esperienza De Magistris, un ampio e interessante ventaglio di piccole e grandi cose da fare, immaginare e programmare per mettere in pista modelli di ripresa della capitale del Mezzogiorno, anche sulla base di alchemiche alleanze politiche (l’intesa Pd-5 Stelle o la coniugazione di un civismo di centrodestra con marchi di partito).

Alcune delle candidature, anche per lo spessore dei competitors, nascevano proprio da invocate esigenze di attenzione per Napoli (si ricordi l’iniziale tema del dissesto da evitare, per il quale un allora indeciso Manfredi aveva chiesto garanzie a Roma).

Oppure prospettavano possibili e innovativi modelli di legalità ed efficienza liberista con il sigillo di un magistrato antimafia come Maresca, o la riproposizione ostinata dell’usato sicuro schema Bassolino per “una città scassata” oppure, ancora, un filo di continuità della consunta esperienza DeMa con il volto fresco della Clemente.

Sembrava. Sembrava che tutto ciò fosse prodromico alla declinazione di idee concrete epperò alte per Napoli. Non è stato così. La realtà della campagna elettorale che ancora stiamo vivendo è fatta di polarizzazioni che non fanno bene alla declinazione e comprensione del cosa si voglia fare per Napoli. L’estremizzazione sul valore personale e sulla “presa” dei candidati è scaduta nei veleni (vedi le assenze sistemiche o occasionali nei confronti e l’impossibilità del cittadino di capire cosa pensi uno e cosa l’altro), così come l’alone opprimente del regolamento di conti tra forze politiche nazionali che sempre disinvoltamente cala sui test amministrativi, soprattutto delle grandi città. Poi, perché Napoli sa sempre come distinguersi, la traumatica esclusione di così tante liste per irregolarità formali, con conseguente coda di accuse, rivendicazioni, distinguo delle responsabilità e successive accuse di possibile mercato dei pacchetti di voti dei candidati esclusi.

No, non è quanto di meglio e di giusto si debba sperare per Napoli. La stessa evasività messa in campo in alcuni convegni e interviste di questi giorni su determinati temi (si pensi al destino di Bagnoli e a quello di Napoli Est, così come sull’effettivo e irrinunciabile ruolo della Città metropolitana di una Napoli che certo non si ferma ai confini comunali) dimostra come ancora una volta si sfugga alla narrazione del “per fare cosa”.

È come se Napoli fosse condannata a perpetuare nel tempo la consapevolezza dell’antico ruolo di città capitale senza guardare a quello moderno e metropolitano, ostinandosi a rivangare stancamente un glorioso passato senza interrogarsi su cosa sia adesso e, soprattutto, cosa voglia essere in futuro.

Cosa sarà Napoli, domani, se non risolve il problema del suo porto per collocarlo finalmente quale snodo nel Mediterraneo dei traffici delle merci e delle persone? E cosa sarà se non saprà capitalizzare la vitalità gestionale dell’aeroporto di Capodichino?

Cosa sarà, Napoli, se non si declinerà bene l’idea e la fattibilità di una cittadella della ricerca? Cosa sarà Napoli oltre il ciclico riproporsi dello slogan “ricominciamo dalle piccole cose” se un tale e scontato concetto di azione amministrativa non troverà collocazione in una più ampia progettualità? Che si pensi, certo, alla sicurezza (che non è solo materia per forze dell’ordine e magistratura), ai servizi carenti, ai trasporti oggi ridotti “alla-come-viene”, alla viabilità antica croce, alla funzionalità e all’efficientamento di una macchina comunale a pezzi: ma non si considerino questi gli unici traguardi possibili di una città che resta autopropulsiva nel suo incedere quotidiano tendente allo stabile (la teoria del pendolo cara ad Aldo Masullo) e nelle sue potenzialità, avendo ormai smarrito da tempo l’opportunità di muoversi sul crinale di un ambizioso sviluppo pensato.

E si abbiano sempre davanti le questioni commercio e turismo, punti pesanti di Pil, con dati post pandemia che lasciano sperare nella ripresa ma che vanno accompagnati da ben altra attenzione in termini di regolamentazione, valorizzazione e ritorno occupazionale. O lo stesso tanto decantato primato della Napoli del cinema, della musica, delle arti e delle fiction, degli scrittori e degli attori, della corsa all’Oscar di Sorrentino, dal genio di Martone alla grandezza di Servillo o alla prolificità delle penne di De Giovanni o Montesano, solo per fare qualche nome senza voler far torto agli altri.

Cose belle, bellissime. Sfide alte. Per le quali - insieme ai bisogni primari sopra accennati - dovremmo scorgere lampi negli occhi dei candidati a sindaco, ascoltare proposte realistiche per evitare che Napoli resti solo una quinta di scena per grandissimi professionisti (e la maggior parte dei quali non vive più qui). Qui, nella città che resta carne viva, con i suoi problemi e le sue ossessioni, ma anche con le sue grandi capacità di sognare e, ogni tanto, di prendersi rivincite. Senza dover nemmeno dire grazie a chi la guida.

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