Se l'Europa è l'ultima trincea dei diritti

di Romano Prodi
Sabato 4 Luglio 2020, 23:00 - Ultimo agg. 5 Luglio, 08:00
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Quando e come usciremo definitivamente dalla pandemia in corso nessuno lo può dire con precisione, anche perché in alcune zone sembra ritirarsi, mentre in altre si espande in modo sempre più vigoroso. L’unica cosa certa è che interessa ormai la totalità del pianeta. 

La battaglia contro il Covid-19 condiziona quindi la politica di tutti i Paesi. Tuttavia le misure economiche adottate per uscire dalla crisi, pur presentando modalità d’azione diverse da Stato a Stato, vanno nella stessa direzione. Le strategie sul come gestire i diritti e gli obblighi delle persone durante la pandemia sono invece state e sono ancora estremamente differenti. Nel campo economico, infatti, anche se non vi è stato alcun accordo, gli Stati Uniti, la Cina e l’Europa hanno preso la stessa decisione di allargare le maglie del credito e intensificare gli aiuti e i sussidi ai cittadini e alle imprese, così da evitare il collasso del sistema economico. Da questo punto di vista si può quindi convenire che la pandemia, pur avendone mutato molti aspetti, non ha radicalmente spezzato una certa uniformità di comportamenti ormai consolidati. Una qualche forma di globalizzazione economica, anche se dovrà essere sottoposta a profonde correzioni, continuerà quindi a giocare un ruolo rilevante anche in futuro. Di fronte a questa almeno parziale convergenza nel campo economico, dobbiamo invece prendere atto della assoluta permanenza di una profonda diversità in un altro campo.

Che è quello dell’affrontare i problemi attinenti alla disciplina che i cittadini hanno dovuto (e debbono) tenere durante questa prima (e speriamo ultima) fase della pandemia. 

Da un lato del mondo abbiamo infatti assistito all’imposizione del modello “confuciano” che, pur con alcune differenze, ha caratterizzato le politiche del sud-est asiatico: dalla Cina a Singapore, da Taiwan alla Corea del Sud. Fedeli a una tradizione che risale nei secoli, i governi di questi Paesi hanno infatti imposto, in modo diffusamente accettato, una severissima disciplina di comportamento fondata sul prevalente (o addirittura esclusivo) interesse della collettività. Per raggiungere questo obiettivo essi hanno annullato, con altrettanta energia, ogni diritto alla privacy. Naturalmente gli strumenti concreti adottati per mettere in atto le misure di intervento sono stati assai diversi da Paese a Paese: in alcuni casi, come in Corea, il lato intrusivo è stato meno appariscente, dato che il governo era già in possesso di elementi di conoscenza e di mappature della società che rendevano possibile l’adozione di misure apparentemente meno drastiche. Tuttavia la prevalenza degli interessi collettivi su quelli individuali è stata ovunque accettata in modo indiscusso.

In direzione opposta hanno proceduto gli Stati Uniti, ritenendo intoccabile la libertà dei cittadini, anche nella situazione di particolare drammaticità causata dal Covid-19.

Con un giudizio superficiale questa politica americana di non intervento è stata attribuita ad un colpo di testa di Trump che, pur aggiungendovi qualcosa di suo, ha invece soltanto cercato di interpretare le radici storiche e culturali prevalenti nel suo Paese. 

Come si vede da questi due contrastanti esempi è molto difficile, anche di fronte a un evento così grave e imprevisto, non tenere conto delle proprie tradizioni e delle proprie eredità culturali.

Soltanto l’Europa, pur dopo incertezze e oscillazioni, è riuscita, almeno nella maggioranza dei suoi Stati, a raggiungere un accettabile compromesso fra le libertà individuali e l’interesse comune. Non è stato un processo facile, anche perché ha dovuto ovunque affrontare un complicato confronto fra il mondo politico ed il mondo scientifico che, in alcuni casi, ha anche causato dannosi ritardi nelle decisioni di intervento. Tuttavia, in tutti i grandi Paesi europei, le regole di comportamento imposte ai cittadini sono state principalmente indirizzate verso il raggiungimento del difficile compromesso fra la libertà del singolo e l’interesse collettivo. 

L’unico grande Paese che, anche per la storica vicinanza agli Stati Uniti, aveva pensato di non dovere seguire questa via, è stata la Gran Bretagna: travolta dagli eventi, ha tuttavia dovuto rapidamente mutare la propria rotta. Qualcuno, forse malignamente, ha insinuato che questo cambiamento sia avvenuto solo nel momento in cui lo stesso Primo Ministro è rimasto vittima del virus. Sono invece convinto che sia stato il corso delle cose a fare prevalere la convinzione che il faticoso compromesso fra i diritti dell’individuo e gli interessi della società debba essere l’obiettivo principale di ogni democrazia. 

Non a caso, pur con le sue debolezze e le sue divisioni l’Europa rimane ancora l’unica linea di resistenza di fronte al crescente autoritarismo che, negli ultimi anni, sta dilagando in tutto il nostro pianeta. E io continuo a credere che la difesa dei diritti di libertà e di democrazia sia il compito primario di ogni società organizzata. Anche la pandemia ci ha confermato che, nel mondo di oggi, solo noi europei ce ne possiamo fare carico. Teniamoci quindi ben caro questo ruolo che, pur con alcune defezioni, abbiamo saputo conservare anche in queste difficili circostanze. 
 
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