Se Napoli sposta sempre il traguardo «più in là»

di Vittorio Del Tufo
Mercoledì 16 Giugno 2021, 00:04 - Ultimo agg. 06:00
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Di fronte all’evidenza del fallimento, il Comune (che dovrebbe chiedere scusa) si vedrà costretto a spostare per l’ennesima volta più in là il traguardo della riapertura della Galleria, ovvero del principale asse di scorrimento tra est e ovest, già tagliato con un colpo di forbice mandando in frantumi la pazienza degli automobilisti. Questo spingere il traguardo sempre “più in là” è ormai da tempo il mantra non solo di un’amministrazione senza un euro in cassa, ma più in generale della città che continua a fare i conti con una fragilità strutturale: di sistema, per così dire.

Napoli è una città in cui la fatica di vivere si esprime attraverso il continuo ricorso all’escamotage del rinvio, e non v’è un solo servizio pubblico che non sfugga a questo destino di intederminatezza. Siamo talmente assuefatti ai rinvii, agli slittamenti, ai ritardi - all’indeterminatezza, appunto - di considerare normale quello che normale non è. 

La cronaca si incarica quotidianamente di fornirci nuovi esempi. Altrettanto simbolica, oltre che imbarazzante, rischia di diventare la debàcle dell’Ospedale del Mare, che pur essendo nato come modello innovativo di edilizia sanitaria è riuscito nell’impresa di mutuare, a proprio svantaggio, tutti i limiti e le difficoltà strutturali dei principali ospedali cittadini. Da ieri sono fermi gli interventi e anche i trasferimenti di pazienti tramite la rete del 118 verso il Pronto soccorso del presidio di Napoli est. Il motivo: un’intera ala dell’Ospedale del mare è senza aria condizionata in conseguenza della voragine dello scorso gennaio. Effetto serra in Rianimazione, Chirurgia, Psichiatria, Trauma center e Medicina d’urgenza. A sei mesi dala voragine il guasto non è stato ancora risolto e i pazienti boccheggiano. 

Le incertezze sui tempi di realizzazione delle opere (da quelle, minime, di manutenzione ai glandi asset sui ci si gioca il futuro della città) sono diventate un dato strutturale del nostro vivere quotidiano. Nel caso degli appalti, quasi una voce non scritta nei capitolati, un elemento costitutivo delle gare. E sono, soprattutto, il simbolo più evidente di una malagestione della cosa pubblica che si nasconde spesso - com’è avvenuto in via Marina - dietro la foglia di fico delle varianti in corso d’opera, delle proroghe tecniche, dei progetti soggetti a continue revisioni.

Un altro clamoroso esempio di “traguardo mobile” è stato, negli ultimi anni, quello delle politiche di bilancio. Di fronte a una situazione economica e finanziaria ai limiti del collasso si è preferito spingere, sistematicamente, la notte più in là, riversando sulle amministrazioni (e sulle generazioni) future il peso di una situazione economica e finanziaria non più sostenibile.

Poteva sfuggire De Magistris al paradigma del “traguardo mobile”? Non poteva, anzi ne è stato il principale ideologo. Sarà per questo che l’aforisma del grande Twain continua a risuonare tra le stanze di Palazzo San Giacomo (e tra le volte della scassatissima Galleria Vittoria): perché rinviare a domani ciò che si può benissimo rimandare a dopodomani? 

Diceva Mark Twain: mai rimandare a domani ciò che puoi fare benissimo dopodomani. Declinato a Napoli, l’aforisma del grande scrittore americano suona più o meno così: mai completare i lavori nella data prefissata quando puoi benissimo rinviarli a data da destinarsi. È il paradigma del «traguardo mobile». Basta spostare la linea d’arrivo più in là e il gioco è fatto. Da Bagnoli alla Galleria Vittoria, dalla Villa Comunale ai lavori Unesco nel centro storico, dalla metropolitana al Collana, il rinvio è la regola, la certezza dei tempi un optional. Spostare il traguardo più in là: è stato il mantra soprattutto dell’attuale amministrazione, ormai ai titoli di coda. Fine lavori: mai. Una grave patologia che rischia di pesare come una zavorra sul futuro della terza città italiana.

Della Galleria si è detto e scritto anche troppo. Le date di volta in volta fornite dal sindaco e dai suoi assessori sono numeri buoni da giocare al lotto, e richiamano, per assonanza, l’altro grande scandalo dell’ultima decade, lo strazio dei lavori infiniti in via Marina dove ci sono voluti anni per ripristinare la carreggiata (e i tombini già sprofondano nell’asfalto). 

Verrebbe da dire: per prima cosa, chiedete scusa. Chiedete scusa ai cittadini per il mancato rispetto dei tempi di riapertura, con i lavori ancora al palo nonostante il festival delle promesse e gli sprint più volte annunciati e rimasti lettera morta. Chiedete scusa per aver disatteso l’impegno di avviare gli interventi di «ripristino dei luoghi» a fine maggio e restituire, entro l’estate, il lungomare liberato ai napoletani. Neanche il progetto esecutivo, sbandierato come «ultimo lasciapassare» per dare finalmente il via ai lavori, è servito a sbloccare il cantiere. In attesa di vedere finalmente la luce in fondo al tunnel, ci accontenteremmo di vedere almeno qualche operaio. Ma è il paradigma del “traguardo mobile” che ci sconcerta. 

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