Se sul Def pesa l'equivoco politico

di Giorgio La Malfa
Lunedì 15 Aprile 2019, 23:14
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C’è un aspetto sorprendente nel Documento di Economia e Finanza approvato dal Consiglio dei Ministri nei giorni scorsi e reso noto nella giornata di ieri. La sorpresa non è l’ammissione, ormai inevitabile, che, a fronte di un obiettivo di crescita fa per il 2019 dell’1,2 per cento, enunciato ancora quattro mesi fa, oggi il Governo deve riconoscere che, proseguendo così le cose, tendenzialmente nel 2019 il reddito sarà assolutamente stagnante. È quello che scrivono ormai da molte settimane tutti i centri di osservazione economica italiani e stranieri. Semmai sorprendevano le affermazioni di esponenti del governo che affermavano che nella seconda metà dell’anno si sarebbero visti i risultati della loro opera. Il Def riconosce che le cose non vanno affatto bene. Che non è affatto alle viste un secondo semestre più favorevole del primo.
Il fatto rilevante dal punto di vista politico che emerge dal documento è che da parte del Governo non ci sia alcuna reazione a questo stato delle cose, nessuna indicazione di quello che si potrebbe e si dovrebbe fare per evitare questo esito. C’è anzi un tentativo di nascondere la gravità specifica della situazione italiana dietro l’affermazione che il peggioramento della situazione è da mettere in collegamento con la flessione del commercio internazionale che si sta determinando in questo periodo e che ovviamente colpisce un paese fortemente esportatore come è l’Italia. Questo significa nascondere il fatto che la situazione italiana è peggiore: l’altro grande paese esportatore europeo, la Germania, rallenta, ma non si ferma. Nell’area dell’euro il risultato italiano è il peggiore in assoluto. Dunque vi deve essere qualche problema interno che continua a bloccare, come avviene da molti anni, la crescita italiana. Qual è l’analisi del governo di questo problema? Quali le risposte?
Il Def dà l’impressione di ritenere che non vi sia nulla da fare rispetto alla situazione che si va profilando: la cosiddetta crescita programmatica, che indica l’andamento che avrà l’economia italiana a seguito delle manovre di politica economica del governo, è pari allo 0,2 per cento, rispetto alla crescita tendenziale dello 0,1%. Cioè è l’ammissione dell’inerzia o dell’impossibilità di fare alcunché.
Ma è davvero così? Davvero non si può fare nulla rispetto alla situazione che si va profilando? La risposta è no. In realtà vi sono tre linee di intervento che possono essere perseguite e che andrebbero perseguite. La prima sarebbe quella di fare uno sforzo straordinario per fare ripartire gli investimenti pubblici. La seconda sarebbe quella di incentivare gli investimenti privati; la terza è sostenere l’edilizia residenziale privata che è sostanzialmente ferma.
Naturalmente nessuno di questi interventi può essere fatto ricorrendo a un maggiore deficit
Avendo sostanzialmente compromesso tutti i margini di deficit corrente negli scorsi mesi, cioè avendo indicato che ormai il deficit 2019 corre verso il 2,4 per cento rispetto al PIL, non si può più pensare a una spesa pubblica per investimenti in deficit. Lo si poteva pensare nel settembre scorso quando il governo Conte prospettò un aumento del deficit fino al 2,4 per cento sostenendo che l’aumento rispetto ai precedenti impegni era collegato alla crescita degli investimenti. Ma quel proposito è stato abbandonato fra settembre e dicembre: il governo ha destinato sostanzialmente tutte le risorse che aveva raggranellato compreso il rinvio degli impegni di accrescere l’Iva, ai due capitoli di spesa corrente ai quali i partner di governo tenevano perché contenuti nei rispettivi programmi elettorali la quota cento per le pensioni, il reddito di cittadinanza.
Oggi quindi bisogna fare un’operazione diversa: tagliare con nettezza la spesa corrente e sostituirvi una spesa per sostenere nei tre campi sopra indicati le spese di investimento. L’effetto positivo sarebbe garantito dal fatto che il moltiplicatore delle spese per investimenti è molto più elevato di quello delle spese correnti, cosicché tagliare queste per fare crescere le altre avrebbe un saldo fortemente positivo.
In particolare gli investimenti nell’edilizia avrebbero effetti molto positivi. Certo, le periferie delle nostre città ne trarrebbero grande giovamento. Vi è ad esempio un progetto elaborato dal senatore a vita Renzo Piano per il recupero delle periferie. Che cosa ne è avvenuto?
Si tratta come si vede di cose che potevano essere già previste nei mesi scorsi e che oggi potrebbero essere avviate pur con la cautela di non immaginare ulteriori sforamenti del deficit.
Perché il governo non ne parla? Perché il Def non le mette sul tavolo? Qui si va al nodo politico della situazione italiana. I governi non nascono dalla giustapposizione delle esigenze elettorali dei partners dell’alleanza. Se in una coalizione non vi è un sensibilità comune sulle priorità o sulle urgenze, le uniche cose che possono essere fatte sono quelle concordate all’inizio. Ma quando la realtà si impone, la coalizione è bloccata dal sostanziale disaccordo di fondo su tutti i problemi del Paese. La verità è che i due partiti di governo sono riusciti lo scorso anno, sotto la pressione di formare il governo, a scrivere un programma che giustapponeva le principali promesse elettorali degli uni e degli altri. Fuori da quel perimetro, non vi è quel minimo di concordia politica che consenta di affrontare i problemi che la realtà sottopone al governo.
Dunque si rivela l’equivoco politico di questo governo: il loro è un accordo per la conquista del potere che comprende poche cose ma esclude la possibilità di affrontare i veri problemi del Paese. I due partiti vedono con orrore la prospettiva di perdere il potere e quindi non oseranno fare nulla. A dar loro una scossa saranno gli elettori.
 
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