Soccavo, la sfida quotidiana
a degrado e malavita

Soccavo, la sfida quotidiana a degrado e malavita
di Paolo Barbuto
Giovedì 20 Giugno 2019, 20:39 - Ultimo agg. 21 Giugno, 00:00
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Soccavo non è un solo quartiere, è tre quartieri in uno, ben definiti e nettamente separati, eppure costantemente mescolati. C’è la porzione antica che si sviluppa alle pendici dei Camaldoli, quella del dopoguerra che si dipana attorno a via Epomeo, poi c’è il Rione Traiano che è un mondo a parte.

Soccavo vive la rabbia di tutti i quartieri identificati troppo spesso con la malavita, vive le difficoltà di chi è costretto a fare i conti con quel mondo oscuro. Il quartiere percepisce la sensazione d’abbandono riservata usualmente alle periferie lontane, anche se non è poi così lontana dal cuore di Napoli, un abbandono che si trasforma in strade degradate, trasporti malmessi, servizi ridotti a lumicino.

Sabrina è una ragazza dolce, abita in una traversa di via Epomeo e spiega sorridendo che «non viviamo con l’oppressione della malavita perché ne stiamo lontani. Guardi che qui c’è tantissima gente perbene». Poi s’incupisce e spiega: «Vabbè, io ho una sorellina di quindici anni, lei lo sa che il sabato sera a via Epomeo non deve uscire, troppe brutte facce».

Antonio è un ragazzo giovane e vivace che vuol raccontare come ci si ribella al marchio a fuoco del Rione Traiano: «Io vado in giro fiero di raccontare che vengo da questa parte di Napoli perché noi non siamo quel che vogliono farci sembrare. Vieni con me, bussiamo a ogni casa del palazzo, scoprirai famiglie belle e pulite, donne che lavorano e pensano ai figli, uomini che si ammazzano di fatica per portare a casa lo stipendio». Antonio però è nervoso, in strada ci sono troppi occhi indiscreti, dice al fotografo «andiamo a fare qualche foto vicino ai cassonetti pieni. Ho detto in giro che siete qui per l’allarme spazzatura altrimenti...». Ed ecco che crolla tutto: è vero che nelle case ci sono famiglie belle e pulite, è altrettanto vero che tutt’intorno c’è la camorra che guarda, fischia allarmi al passaggio di persone non conosciute, accetta un giornalista solo se viene a parlare di monnezza, non d’altro, non di camorra.

Le rampe che salgono verso la strada veloce che porta in un lampo al Vomero e a Fuorigrotta sono vietate. Sono venuti la settimana scorsa a tagliare la vegetazione che invadeva la carreggiata, poi sono andati via lasciando i resti della potatura sull’asfalto: non tocca a noi portare via questa roba. Così c’è il paradosso di una rampa che sarebbe pulita ma è vietata per “sacchetti sulla carreggiata”.

L’unico ascensore funzionante del piccolo cimitero di Soccavo s’è rotto qualche mese fa: «C’è un signore disabile che viene ogni settimana, vorrebbe portare fiori al suo papà che sta al secondo piano, non può. L’ultima volta s’è messo a piangere», dice mesto un addetto del cimitero.

Il Polifunzionale di Soccavo potrebbe essere un gioiello di sport, aggregazione, accoglienza: è un luogo mezzo abbandonato dove pochi si battono per diffondere sport e cultura e tanti si voltano dall’altra parte fingendo che l’intervento banale per le Universiadi serva a nascondere decenni di degrado e devastazione. Di fianco c’è un agglomerato di casetta abbandonate: «Lì ci stanno i peruviani che vendono armi - dice un ragazzo che vieta foto e nega il nome - ma non vi avvicinate, hanno i rottweiler che aggrediscono chiunque varchi il cancello».

«Conosciamo degrado e problemi di sicurezza - s’infiamma Lorenzo Giannilavigna, presidente di centrosinistra della municipalità - però conosciamo anche le centinaia di esperienze positive che si sviluppano nel quartiere. Agiamo con forza cercando di risolvere i problemi, siamo in costante contatto con forze dell’ordine e Prefettura per arginare la malavita, però chiedo con forza che Soccavo venga raccontata dal lato delle persone perbene». 

L’uomo è preoccupato e inferocito: «Abbiamo un budget inesistente, non possiamo fare nulla però riempiamo di richieste chi potrebbe e dovrebbe intervenire ma non lo fa, è questo che va scritto. Anzi, scriva che avevo creduto a de Magistris quando disse che non esistevano periferie ma “nuove centralità”, ma ora mi sento preso in giro per quelle parole. Le periferie sono rimaste tali, abbandonate al loro destino».
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