Sorvegliare di più ma senza la smania dei fallimenti

di Giorgio La Malfa
Sabato 14 Dicembre 2019, 23:00 - Ultimo agg. 15 Dicembre, 08:05
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Su quello che si deve fare quando una banca va in crisi, gli economisti hanno (come capita troppo spesso) opinioni diverse fra loro. Gli ortodossi pensano che le banche in crisi debbano essere lasciate fallire, come qualsiasi altra attività economica che non regga alle condizioni del mercato. Il loro punto di vista è che, se gli amministratori di una banca sanno che lo Stato interverrà e non la farà fallire, si lanceranno in attività spericolate, contando sul fatto di guadagnare molto se le cose vanno bene e di non perdere tutto, nel caso opposto. E per evitare questo, dimenticano tutte le conseguenze negative che il fallimento di una banca porterebbe con sé.

Ma altri economisti – ed io sono fra quelli – pur non avendo nessun desiderio di incoraggiare comportamenti irresponsabili da parte dei banchieri, ritengono che le banche siano imprese diverse dalle altre nel senso che il loro fallimento può avere effetti molto gravi su tutto il sistema economico, e oltre a incidere sui livelli della disoccupazione può colpire e scoraggiare il risparmio in generale, pregiudicare imprese sane che fino a quel momento hanno usato il credito di quella banca per condurre le loro attività.

E dunque che, per tutta queste ragioni, bisogna esercitare una sorveglianza molto attenta sulle banche e i banchieri giorno dopo giorno, prevenirne gli errori e le crisi. Ma quando una banca va in una grave crisi, la collettività se ne deve occupare e assicurare la continuità dell’impresa.

Questo non vuol dire tollerare comportamenti inaccettabili dei banchieri: la magistratura può e deve essere chiamata a esaminare queste responsabilità e se la vigilanza è stata insufficiente, anche questo deve finire nel mirino delle autorità di governo e se necessario della magistratura. Ma non è il caso di farsi prendere dalla smania di far fallire le banche in omaggio all’idea che il capitalismo non dovrebbe guardare in faccia a nessuno. Nel 2007 gli americani, dopo avere praticamente abolito ogni vigilanza sulle banche e sui mercati finanziari, scopersero che la banca d’affari Lehamn Brothers aveva fatto una serie di investimenti azzardati ed era sull’orlo del precipizio e decisero di lasciarla fallire. La conseguenza fu una crisi di portata pari a quella del 1929 che ha investito tutto il mondo. Dalla crisi l’America è riuscita a uscire solo dopo avere immesso un’enorme quantità di soldi pubblici nel sistema bancario e nell’economia. Ma l’Europa ha trascinato per anni la sua crisi e l’Italia ha visto largamente compromessa la sua economia, tanto che ancora oggi il nostro reddito procapite è inferiore a quello del 2007. La lezione dovrebbe essere appresa.

Quanto all’Europa, dopo il 2008 la Germania, la Francia, la Gran Bretagna, l’Olanda e molti altri paesi hanno dovuto immettere enormi quantità di denaro per salvare i propri sistemi bancari che avevano investito in titoli speculativi rivelatisi poco più che spazzatura. Le banche italiane, che erano state assai più prudenti negli impeghi dei risparmi loro affidati, hanno invece pagato le conseguenze della crisi economica seguita alle vicende del 2008 e quindi all’enorme quantità di prestiti incagliati dovuti alla flessione dell’attività produttiva. E passano per essere il problema dell’Europa. 

A quel punto, rimesse in piedi le banche europee con i soldi pubblici, l’Europa ha pensato che era il momento di lasciar fallire le banche in difficoltà. Questa nuova filosofia si chiamava bail-in e alcune banche italiane ne sono state vittima, anche perché i governi italiani non si erano resi conto di quello che si stava preparando a livello europeo. 

Il bail-in era un errore. E sarebbe un errore mandare al fallimento la Banca Popolare di Bari. Così come lo Stato italiano si è impegnato a salvare il salvabile del Monte dei Paschi di Siena e il Tesoro vi ha immesso una quantità di soldi, così come lo Stato italiano sta cercando di salvare la Cassa di Risparmio di Genova, così, considero giusta la scelta del governo di salvare la Popolare di Bari. Oltretutto, vi è un aspetto di questa vicenda che riguarda il problema del Mezzogiorno.

Negli anni è fallito il Banco di Napoli, la cui liquidazione ha dimostrato che in fondo la Banca non stava poi così male e le sue attività sono state trasferite a una banca del Nord. Si è preso atto delle difficoltà delle banche siciliane e le si è fatte chiudere senza complimenti e trasferirne le attività (e la clientela) a un’altra banca del Nord. Sarebbe grave chiudere la Popolare di Bari che è rimasta la sola banca di una certa dimensione del Mezzogiorno. Stiano attenti i meridionali tentati dal voto per la Lega e capiscano che se la Popolare non fosse in una città del Mezzogiorno, ma nel Nord, essi attaccherebbero il governo non per averla salvata, ma per non averlo ancora fatto con i soldi pubblici. Qualcuno ha sentito il capo della Lega chiedere il fallimento della Cassa di Risparmio di Genova?

Naturalmente, come ho detto, si guardi a fondo nelle responsabilità di chi ha amministrato la banca mandandola in rovina e in quelle di chi avrebbe potuto e dovuto accorgersi dei segni di una crisi incipiente. Ma gli sportelli, le imprese che lavorano con questa banca, i suoi depositanti, i suoi lavoratori non sono carne da macello da sacrificare in nome di un preteso rigore che si applica solo alle zone più deboli del nostro Paese. Per questo motivo, il governo Conte vada avanti senza farsi fermare né dalle polemiche strumentali dell’opposizione, né dalle ripicche interne di una maggioranza troppo divisa per poter continuare a lungo a governare il Paese senza un chiarimento di fondo. 
 
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