«Spari ad altezza d’uomo
Così si è sfiorata la strage»

«Spari ad altezza d’uomo Così si è sfiorata la strage»
di ​Leandro Del Gaudio
Lunedì 4 Dicembre 2017, 22:43 - Ultimo agg. 22:49
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Solo per un caso fortuito non c’è stata la strage. Ha sparato nel mucchio e ad altezza d’uomo, ha puntato a zone vitali, ha premuto il grilletto sapendo che quei proiettili avrebbero potuto colpire anche soggetti estranei all’aggressione subita, semplici passanti o cittadini di quella movida notturna da venti giorni finita al centro della cronaca cittadina per fatti di sangue. 
Con questo ragionamento, il gip Anna Laura Alfano traccia un bilancio delle indagini legate agli spari dello scorso 18 novembre nel cuore del by night, lì nel bel mezzo dei baretti di Chiaia. Indagini e versioni difensive, ipotesi d’accusa e certificati medici finiscono così nel provvedimento con il quale il giudice ha convalidato il fermo a carico di Giuseppe Troncone, il ventenne arrestato per aver impugnato la pistola e sparato ad altezza d’uomo contro una folla di persone in fuga. Ed è un caso che non sia stata strage - insiste il gip - al punto tale da respingere l’idea di una difesa legittima da parte di chi stava avendo la peggio, colpito da pugni al viso e coltellate alle gambe.
Trenta e passa pagine, proprio mentre in Procura arrivano gli esiti di una nuova informativa di polizia giudiziaria, questa volta legata all’ultimo week end, all’ennesimo sabato notte, ancora una volta scandito da episodi di «guerriglia»: come i sassi scagliati contro le auto in sosta in via Aniello Falcone, la strada che cuce Chiaia al Vomero, altra zona calda della movida, appena un paio di mesi fa teatro di aggressioni tra residenti e soggetti rimasti senza nome. Inchiesta coordinata da due pm anticamora (i magistrati Celeste Carrano e Antonella Fratello), ma anche da pm che si occupano di crimine predatorio (sotto il coordinamento dell’aggiunto Rosa Volpe), in un pool che punta a rappresentare una sorta di osservatorio permanente sulla movida napoletana e le sue criticità. Che succede in via Falcone? Possibile che ci sia una nuova fase dello scontro verso chi ha aderito ai comitati cittadini che si battono per una movida vivibile e civile, chiedendo regole sulla somministrazione di alcol, sul volume della musica, ma anche sull’effetto imbuto che si crea con auto in doppia fila all’esterno dei localini. Scenario tutto da mettere a fuoco, a partire da quelle immagini rimbalzate sui social di auto in sosta danneggiate da pesanti massi: si tratta di due vetture, che sarebbero state colpite nelle prime ore del mattino di domenica, al termine di una nottata neanche particolarmente caotica, vista la pioggia e l’umidità che poco invitavano a stare all’aperto. Si attendono le denunce dei proprietari, anche alla luce di quanto accaduto lo scorso ottobre, quando un residente venne aggredito e minacciato dopo essersi esposto pubblicamente contro caos e traffico legato alla movida. Accertamenti affidati ai carabinieri della compagnia Vomero, si cerca di stabilire se ci sono connessioni tra i due episodi, se ci sono vendette in atto da parte di soggetti che hanno interesse al caos contro chi invoca rispetto delle regole. 
Dalla collina al mare, da via Falcone a via Carlo Poerio. Torniamo alla zona dei baretti, tanto per ripercorrere il ragionamento fatto dal gip Alfano, sull’opportunità di tenere in cella il ventenne che ha sparato contro la folla lo scorso 18 novembre. Scrive il giudice: pericolo di fuga e rischio inquinamento probatorio, due fattori che rendono il carcere l’unico sbocco obbligato per il figlio del boss di Fuorigrotta arrestato mercoledì scorso. Difeso dai penalisti Antonio Abet e Giuseppe Perfetto, il ventenne ha ricordato di essere stato aggredito senza un motivo, di aver avuto la peggio (negando di aver sparato colpi di pistola) e di aver subito offerto la propria disponibilità nei confronti dell’autorità giudiziaria. Durissimo appare invece il commento del gip, valutando le condizioni di salute di un minore di San Giovanni rimasto ferito dai colpi di pistola: «L’elemento oggettivo è costituito dalle lesioni riportate dalla vittima e causate, come risulta dai certificati medici, da più colpi in parti vitali del corpo, inferti con un’arma da sparo, idonea a cagionare la morte della persona offesa, dalla micidialità dell’arma utilizzata, dalla distanza da cui sono stati esplosi i colpi, mirando a parti vitali del corpo». 
E ancora: «È evidente che allorquando Troncone spara contro il gruppo avverso ad altezza d’uomo in strada, in orario affollatissimo, non può non prevedere che oltre alla vittima designata (vicino a un gruppo di soggetti legati alla famiglia Formicola, del cosiddetto Bronx di San Giovanni), possano essere colpite mortalmente anche altre persone». 
Un’indagine che punta ora a ricostruire il movente della rissa, ma anche altre forme di responsabilità. Non è un segreto che ci sono decine di soggetti - per lo più si tratta di minori - al centro delle verifiche condotte in queste ore dalla Mobile del primo dirigente Luigi Rinella. Feriti, possibili concorrenti, testimoni: un intero mondo è stato passato al setaccio in queste ore, anche nel tentativo di evitare che vengano concordate versioni di comodo da offrire alla polizia giudiziaria. 
Capitolo inquinamento probatorio, un punto sul quale il gip è netto: «Sono ancora in corso indagini dirette ad accertare il coinvolgimento di altri soggetti, alcuni non ancora identificati, altri per i quali non è stato determinato uno specifico ruolo nella vicenda, pertanto vi è il pericolo che l’indagato, che già ha cercato, dichiarando il falso, di sviare le indagini, se lasciato libero, potrebbe concordare con gli stessi una versione dei fatti con gravissimo pregiudizio per l’acquisizione delle ulteriori fonti di prova». 
Facile intuire qual è il livello di preoccupazione di inquirenti e forze dell’ordine: c’è il rischio che, proprio tramite i social, si cerchi di organizzare una sorta di versione di comodo per dribblare le indagini della Mobile. A metà novembre, meglio ribadirlo, si scontrarono due gruppi di giovanissimi provenienti da zone della città differenti: quelli di San Giovanni, legati ai Formicola, che si mossero in venti, forti di spranghe e coltelli; quelli di Fuorigrotta (chiamati i «puzzuolani») che erano una decina, tra i quali anche Giuseppe Troncone (uscito di casa con una pistola). Un putiferio «in campo neutro», anche se non è chiaro quale sia stato il movente. Secondo una testimonianza messa agli atti da una ragazza, ci sarebbe stato un litigio mesi fa in zona piazza Mercato a fare da detonatore. Ma in queste ore si batte anche una seconda pista. Quella della droga, alla luce di indagini condotte sotto traccia in questi mesi, proprio sui gruppi di giovanissimi attivi nelle tante movide cittadine: da Coroglio a Chiaia, dal centro storico al Vomero, appare evidente che le zone di raduno del popolo della notte sono potenzialmente «piazze di spaccio» a cielo aperto. E non è solo una suggestione dettata dal numero di appassionati del by night cittadino, ma anche di precise «emergenze investigative», che hanno mostrato la nuova frontiera dello spaccio di droga. Si tratta di un fenomeno liquido, leggero, che si avvale di soggetti in sella agli scooter: e che si muovono tra vicoli e marciapiedi affollati, andando su e giù tra le basi di rifornimento e la strada, cambiando sim card in continuazione, aggiornando il proprio numero di cellulare sempre e comunque grazie allo stesso metodo: usando i social, facebook tra tutti, per mettersi al centro di una piazza virtuale che qualcuno proverà a presidiare a colpi di spranghe e coltelli. 
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