«Sponz» nelle Terre dell’Osso:
è il festival dell’Irpinia interna

«Sponz» nelle Terre dell’Osso: è il festival dell’Irpinia interna
di Antonella Forni
Giovedì 5 Agosto 2021, 23:56 - Ultimo agg. 6 Agosto, 19:36
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«Dal 2013 in Alta Irpinia, uno di quei luoghi interni che Manlio Rossi Doria definì “terre dell’osso” in contraltare alla polpa delle coste e delle pianure urbanizzate, si è tenuta una esperienza che ha cercato di fare del vuoto una risorsa», ricorda Vinicio Capossela, lanciando l’edizione 2021 del suo «Sponz fest»: «La storia di questa manifestazione è quella di una comunità non geograficamente localizzata che ha cercato di farsi laboratorio di un’idea del mondo più vicina a quella che si vorrebbe. Non esattamente un festival, più invece una festa intesa come sovvertimento dell’ordine, interruzione del tempo dell’utile, il cui basso continuo fosse il paesaggio fisico e umano, e il cui motore fosse “l’arte dell’incontro”». Arte dell’incontro in versione alta Irpinia, in formato Calitrishire, capace di resistere e reinventarsi, e reincontrarsi, sia pur con mascherine e distanze, sfidando per la seconda edizione consecutiva il nemico virus. 

Nemico di tutti, ancor più di un festival che anela ai corpi «sponzati», sudati, confusi e felici. Alla condivisione baccanalica. Saranno le aree interne, le terre dell’osso, appunto, le protagoniste di questa nona edizione, ribattezzata «Sponz all’osso - Per un manifesto delle aree interne», in programma dal 25 al 29 agosto a Calitri e in Alta Irpinia. Ideato e diretto dall’uomo delle canzoni a manovella, programmato e sostenuto dalla Regione Campania attraverso la Scabec, lo «Sponz» l’anno scorso aveva scelto l’acqua come elemento di purificazione e rigenerazione, si era schierato lungo il corso dei fiumi Ofanto e Sele.

Stavolta ripiega, ma è una ritirata strategia, consapevole, sulle aree interne, «in una visione verticale della geografia, che non distingue tra Nord e Sud ma tra spina dorsale e aree urbanizzate». 

Campo base a Gagliano, sopra Calitri, spazio di un laboratorio a cielo aperto in cui fare confluire le esperienze e il pensiero, di fronte alla pietra su cui poggia il paese di Cairano. Cinque giorni di concerti, spettacoli, incontri, le lezioni della Libera Università per Ripetenti, i laboratori creativi, i tavoli di lavoro per la creazione di un Manifesto delle Aree Interne, le «Visitazioni» guidate nella terra dell’Osso organizzate da Campania Artecard tra borghi e musei dimenticati e lontani dal grandi flussi turistici, ma non per questo meno meritevoli. «Nel pieno rispetto delle norme di prevenzione al contagio a livello nazionale e regionale, gli eventi si svolgeranno in apposite aree progettate per la capienza utile a garantire il corretto distanziamento sociale», recita scrupoloso il comunicato, spiegando anche che «l’accesso agli eventi è possibile solo previa prenotazione o prevendita su www.postoriservato.it e con green pass».

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L’idea è di stimolare un dibattito intorno alla possibilità di «rimanere» qui, di non andar via, di non abbandonare le Terre dell’Osso, trovando/creando per esse nuovi destini, ipotetici sviluppi in direzione new green. Una riflessione che non può non ripartire dall’anniversario del terremoto del 1980, da quelle macerie fisiche, morali, politiche. In un programma ancora work in progress, che per la prima volta è uscito dalla Campania per una speciale anteprima in Emilia, con una «costola reggiana” del festival a inizio luglio, ci saranno, oltre al padrone di casa Capossela: il chitarrista dei suoni onirici Marc Ribot, il grande eretico della musica italiana Iosonouncane, lo scompaginatore artistico Jacopo Leone e le sperimentazioni sonore di Matt Elliott e Daniel Blumberg, la cantante spagnola Martirio e Raul Rodriguez, la leggenda del punk italiano Dome La Muerte, lo scrittore Giuseppe Catozzella, l’accademico e critico musicale Alessandro Portelli, lo storico Carlo Ginzburg, la giornalista Annalisa Camilli, il monaco e saggista Enzo Bianchi, le scrittrici Donatella Di Pietrantonio e Licia Giaquinto e molti altri in un cartellone, ancora in via di definizione, che prevede omaggi a Chavela Vargas, lezioni sulla «mountain music» degli Appalachi, tributi sonori ai pistoleri degli spaghetti western, un Bob Dylan ridotto - ma guarda un po’ - all’osso e amarcord della brigantessa Ciccilla. 

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