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Il Mattino

Se lo Stato ha il dovere di scrivere leggi chiare

di Serena Sileoni
Articolo riservato agli abbonati
Venerdì 9 Giugno 2023, 00:00 - Ultimo agg. : 06:00
3 Minuti di Lettura

Se non puoi convincerli, confondili: Harry Truman lo stigmatizzava come «un vecchio trucco politico» per ottenere voti. Con più cinismo, vien da pensare che sia un vecchio trucco anche per approvare le leggi.

Non sfugge a nessuno che i testi normativi riproducono un linguaggio per iniziati, alla portata esclusiva degli operatori e addetti ai lavori, nella migliore delle ipotesi. Un linguaggio incomprensibile per l’uso di strutture sintattiche labirintiche, ellittiche e rinvii, di espressioni desuete, barocchismi e disomogeneità dei contenuti.

È evidente che questo sia un problema di conoscibilità e prevedibilità del diritto, e dunque anche di uguaglianza di trattamento nell’applicazione delle regole.

Ma c’è qualcosa di più grave ancora. La qualità della regolazione non è solo un problema di scrittura. È una scelta politica, perché sottende un valore democratico di accesso alla conoscenza delle leggi senza il quale il principio ignorantia legis non excusat sarebbe pura vessazione. Leggi scritte «in una lingua straniera al popolo» - insegna Beccaria - lo pongono «nella dipendenza di alcuni pochi». Conservare invece un sistema legislativo inaccessibile può rispondere a una più o meno consapevole volontà di mantenere il significato delle regole oscuro: perché più è oscuro più è facile farlo passare, superando resistenze e dubbi che possono sorgere sia in seno al governo sia in seno al parlamento; e perché più è oscuro più è facile scaricare il peso della sua interpretazione alla fase applicativa.

Detto ancor più chiaramente, a dispetto di decenni di retorica sulla buona qualità della regolazione, tenerla cattiva conviene, almeno a chi, tra la classe politica, l’amministrazione e talora anche gli stakeholder, vive di questa oscurità. Tra chi cioè spera nella incomprensibilità delle norme affinché possano passare più agevolmente (cosa che si riscontra frequentemente nella disomogeneità dei testi) e chi invece spera nella incomprensibilità delle norme perché vive sull’inefficienza delle pubbliche amministrazioni (legata, come ha insegnato Giannini, alla cattiva legislazione) e sulla ignoranza dei cittadini.

Se, come scriveva Montesquieu, le leggi «non devono essere affatto sofisticate», poiché esse sono state scritte «per gente di media istruzione», il loro grado di sofisticazione cela l’intenzione, non troppo recondita, di essere scritte appositamente con linguaggio oracolare, perché siano intermediate dai sacerdoti del diritto.

Episodicamente, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittime alcune disposizioni in materia penale proprio sotto il profilo dell’incertezza interpretativa derivante dalla loro vaghezza e dalla indeterminatezza. Solo pochi giorni fa ha esteso il giudizio anche su norme non penali, censurandone una della legge di bilancio della regione Molise perché affetta “da radicale oscurità”.

La sentenza potrà segnare un punto di svolta sulla questione della intelligibilità delle leggi, dal momento che, a onor del vero, la disposizione non è tanto più incomprensibile di molte altre con cui quotidianamente la ragione del buon padre di famiglia si trova a dover fare i conti. Ben al di là del singolo caso, il giudice delle leggi sembra quindi aver voluto dichiarare che accanto al dovere dei cittadini di conoscere le norme vigenti si deve affiancare sempre quello dello Stato, non meno importante, di renderle comprensibili.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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