«Stop alla grassofobia»: Parigi si mobilita in difesa degli oversize​

«Stop alla grassofobia»: Parigi si mobilita in difesa degli oversize
di Francesca Pierantozzi
Sabato 16 Dicembre 2017, 00:00 - Ultimo agg. 18:52
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PARIGI - Discriminati dalle sedie al bistrot, con quei braccioli troppo stretti, dalla porta della metro (quelle alla Bibliothèque Nationale, per esempio: impossibile passarci), discriminati dallo sguardo del passante, al colloquio di lavoro, dai compagni di scuola e poi da colleghi: si chiama “grassofobia”, come l’omofobia o la xenofobia, è una discriminazione, forse la più subdola, la più diffusa. Ieri il municipio di Parigi ha deciso di rompere il silenzio e ha dedicato una giornata d’informazione e dialogo al “disprezzo e al rifiuto di persone di forte corpulenza” nel quadro della settimana di lotta contro tutte le discriminazioni. Titolo: Grassofobia stop! Agiamo insieme! 

LA SFILATA
Tavole rotonde, dibattiti, una serie di misure concrete, - per esempio una campagna contro le molestie per strada - e alla fine una sfilata di moda taglia XXXL, per smontare «l’odio del grasso». Fenomeno particolarmente grave nella città della moda e dello chic filiforme. «Nella capitale della moda – ha spiegato l’assessore alle pari opportunità Hélène Bidard, all’origine dell’iniziativa del comune – la grassofobia non si deve nominare. C’è una volontà di rendere invisibili i grossi in città. Invece è necessario parlarne, la politica deve rendersi conto che si tratta di un vero argomento di società, che riguarda particolarmente le categorie più popolari e che non si può più far finta che queste persone siano inesistenti sulla scena politica». 

Non più invisibili sono le invitate d’onore di ieri, la blogger americana Jes Baker, pioniera del body positive, e la francese Gabrielle Deydier, un metro e 53 per 140 (ma è arrivata anche a 155) chili, autrice di un best seller autobiografico, «On ne nait pas grosse», grassa non si nasce, scritto per «smettere di scusarsi di esistere». Per prima, Gabrielle ha osato fare la lista di come e quando e perché le è stato rimproverato di essere grassa. E’ facile, sempre e dovunque: a scuola, poi al supermercato - i commenti degli sconosciuti sul contenuto del carrello - poi quelli che rifiutano il posto vicino sul treno, e il dentista che ha paura che sfondi la sua nuova poltrona.

Infine il lavoro: era assistente in una scuola per bambini disabili. Si occupava di un gruppo di sei, poi un giorno l’insegnante l’ha chiamata «la settima handicappata della classe». Gabrielle ha pensato al suicidio, è diventata scrittrice, ha creato un giornale on line, Ginette: «In Francia ci sono 10 milioni di obesi. Non possiamo continuare a metterli da parte. Sono persone che esistono, che soffrono, bisogna curarli se possibile, e integrarli». E spiega: «Nello spirito collettivo, l’obesità è solo il risultato di una sovralimentazione e di mancanza di attività fisica. Socialmente, l’obesità è specchio di una mancanza di volontà. E quindi, l’obeso non si può assumere, perché è un fannullone. E’ un pigro, repellente, magari sporco, e mezzo scemo, visto che spesso è timido e parla poco». 

Difficile far capire che troppi fattori entrano in gioco: il cibo e l’igiene vita, certo, e poi il metabolismo, le predisposizioni genetiche, gli ormoni, le condizioni economiche, la psiche. «Spesso, come me, si ha la sventura di mettere tante crocette». Le cifre danno ragione a Gabrielle: il 33% degli obesi disoccupati non hanno lavoro a causa del loro peso, il 45 per cento dei francesi ritiene legittimo rifiutare di assumere qualcuno perché troppo grosso, a parità di lavoro (lo dice uno studio inglese del 2016) i grassi guadagnano meno di un collega “con un peso forma”.
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