Sud e fondi coesione: i localismi
che uccidono l'uscita dalla crisi

di ​Gianfranco Viesti
Venerdì 21 Giugno 2019, 00:00
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La grande maggioranza degli italiani non ha idea di che cosa sia il FSC, e quindi avrá seguito con grande distacco le vicende dell’emendamento che mirava a trasferirlo alle Regioni. È un peccato, perché si tratta di un a questione di grandissima rilevanza.

Una premessa. L’Italia non uscirà mai dalla crisi che la attanaglia con piccole misure elettorali. Ci potrá provare solo guardando avanti, con politiche economiche che rilancino le imprese, la produttività e l’occupazione. E di questa strategia di medio termine, gli investimenti pubblici, in particolare nel Mezzogiorno, sono una componente essenziale. Per più motivi, illustrati ad esempio con chiarezza nell’ultimo capitolo della recente Relazione della Banca d’Italia. Perché siamo da anni ai livelli minimi storici: 2% del PIL contro un 3% pre-crisi. Perché hanno un elevato effetto “moltiplicatore”: ogni euro di spesa per investimenti pubblici stimola particolarmente l’economia; fa crescere il reddito; e quindi il gettito fiscale. E li rende quindi compatibili con un bilancio pubblico in sofferenza come quello italiano. Perché accrescono il capitale pubblico, e quindi - oltre a migliorare la vita dei cittadini- fanno crescere l’efficienza delle imprese e stimolano i loro investimenti. Infine perché gli investimenti al Sud, oltre a colmare un inaccettabile, storico, deficit di dotazioni infrastrutturali, e quindi a favorire lo sviluppo delle imprese laddove ce ne è più bisogno, hanno un effetto espansivo molto forte sull’intera economia italiana. Investire al Sud fa bene all’intero paese.

Ma non basta spendere. Bisogna investire sulle opere più utili; farlo in tempi ragionevoli e con grande competenza tecnica. Per questo è indispensabile una regia nazionale: che individui gli interventi prioritari in un’ottica almeno decennale, li inserisca in un quadro coerente (aumentando così l’efficacia di ognuno), ne controlli il passo delle realizzazioni.

E qui arriviamo finalmente al FSC, Fondo Sviluppo e Coesione. Creato in un raro, breve, momento (fine anni Novanta) in cui si è pensato davvero ad una strategia per lo sviluppo del Mezzogiorno e quindi dell’Italia. Un unico, ampio, contenitore di risorse per gli investimenti pubblici, aggiuntive rispetto a quelle ordinarie di Ministeri ed Enti Locali, da programmare di sette anni in sette anni parallelamente ai fondi europei in un quadro coerente; destinate per l’80% al Sud (era 85% inizialmente). Un disegno eccellente. Che non ha quasi mai funzionato, per un insieme di motivi: per mancanza di volontà e capacità politica; perché le sue risorse sono state spessissimo stornate e destinate ad altri fini; perchè hanno sempre prevalso piccoli disegni; perché gli effettivi stanziamenti di cassa sono stati sempre molto inferiori rispetto alle teoriche disponibilità. Ma anche per grovigli burocratici e modeste capacità tecniche.

Ma nella situazione attuale è da lì che bisogna ricominciare: riprogrammando (e spendendo!) il disponibile, dando a questi investimenti priorità nelle voci di bilancio. E disegnando nei prossimi mesi un percorso fino al 2030: un disegno coerente con i prossimi fondi strutturali 2021-27. Un libro dei sogni? Il contrario: l’unica strada minimamente ragionevole. L’Italia non sta uscendo dalla crisi, e ancor meno il Mezzogiorno: le cui prospettive a 10-20 anni fanno paura. Senza un’idea per il paese, non potrà che finire male. Si pensi solo al disegno delle grandi reti e dei grandi nodi dei trasporti (porti, ferrovie, mobilità urbana sostenibile) che possono cambiare il volto dei sistemi urbani del Sud, e configurare il Mezzogiorno come porta dell’Italia (e dell’Europa) per i traffici con l’Oriente (e con l’Africa). 
C’è qualche tassello. Il lavoro dell’allora Ministro Del Rio sulla programmazione delle reti di trasporto italiane (anche se reticente sul ruolo dei porti del Sud); la recente iniziativa del Ministro Lezzi di rimettere ordine proprio nel FSC, dopo l’infelicissima esperienza dei Patti per il Sud. C’è moltissimo da fare, a partire da una programmazione dei fondi europei che finalmente li concentri in pochi grandi ambiziosi obiettivi e li utilizzi in parallelo proprio al FSC e da un grande rivisitazione e potenziamento delle strutture tecniche centrali. E da una grande discussione nel paese, e nel Parlamento.

E che emendamento era stato invece proposto (poi fortunatamente stralciato) al decreto crescita? Destinare tutti i fondi FSC alle regioni: una pietra tombale su qualsiasi progetto per il paese. Le regioni (e i Comuni!) possono avere un ruolo importante; non si può certo tornare indietro di 50 anni: ma solo all’interno di un disegno condiviso. Un emendamento figlio del vento dei localismi, di soldi e poteri in mano ai potentati regionali, dell’ognuno per sè: che purtroppo soffia imperioso e rischia di spingerci in un lontano passato delle piccole patrie piuttosto che verso il futuro.

 
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