Ferragosto, l'editoriale del direttore del Mattino De Core: i ragazzi del Sud ​abbandonati al loro destino

Ferragosto, l'editoriale del direttore del Mattino De Core: i ragazzi del Sud abbandonati al loro destino
di Francesco de Core
Lunedì 15 Agosto 2022, 00:00 - Ultimo agg. 16 Agosto, 09:34
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Un Ferragosto così nessuno se l’aspettava. Alle ondate cicliche del Covid, con le sue varianti talvolta perniciose (contiamo ancora troppi morti), abbiamo ormai fatto l’abitudine - sbagliando, perché una sottovalutazione del virus, nei comportamenti individuali e nelle strategie complessive, sarebbe un grave errore. Così come consideriamo usuali gli echi della guerra in Ucraina, spentisi con il passare dei giorni, da quel drammatico risveglio del 24 febbraio, dentro un perimetro di routine. Ma la campagna elettorale proiettata verso il voto del 25 settembre, quella no, non l’avevamo prevista. E forse nemmeno auspicata.

Inutile qui rivangare la rovinosa – e per alcuni aspetti grottesca - caduta del governo Draghi e ciò che di sospeso c’è dell’ormai arcinota Agenda, di cui tanti si contendono le pagine strappate. Il futuro è qui e adesso, nell’elettrizzarsi di una rincorsa affannosa dei partiti e dei poli, nuovi o vecchi che siano, sfidando la calura di piena estate. Molti, stanchi riti di delegittimazione dell’avversario – a colpi di slogan consunti – coprono di fatto la divulgazione dei programmi che gli italiani reclamano, perché reclamano contromisure a un autunno che più fosco non si potrebbe nella gestione dell’economia quotidiana – dalle bollette al carrello della spesa. 

Da quel che si è letto, in poche (e spesso generiche) pagine, il Sud è ulteriormente retrocesso nella scaletta delle urgenze nazionali. Non è una novità. Occorrerebbe una coscienza vera della dimensione del fenomeno di progressivo distacco del Mezzogiorno dal resto d’Italia (e quindi d’Europa) per provare a tamponare l’emorragia. Nella bozza programmatica del centrodestra, l’unico riferimento è al Ponte sullo Stretto e alle misure previste per le aree svantaggiate. Oltre alla revisione del Pnrr, attraverso il quale verranno investiti più di 80 miliardi nelle regioni meridionali; revisione che, pur ragionevole considerando la lievitazione non prevista dei costi, farebbe slittare ulteriormente la pianificazione e la esecuzione dei lavori. È un’occasione storica, quella del Pnrr, che mai più si riproporrà.

Sul fronte opposto, quello del centrosinistra, alle pagine 14 e 15 c’è almeno un capitolo autonomo, dal titolo “Diamo più forza al Mezzogiorno che riparte”, declinato in chiave ottimistica, con rimandi alla pur complessa situazione socio-economica, ai Patti per il Sud e alle potenzialità nei settori dell’agroalimentare e della cultura, con incrollabile fiducia nelle “magnifiche sorti e progressive” da tempo immemore sbandierate. 

Ma la situazione è quella che è. I dati, impietosi, sono quelli che sono. Il gap infrastrutturale è così profondo che c’è il concreto rischio che il bus elettrico di Letta, sotto la linea di Roma capitale, possa fermarsi ai bordi delle strade (molte delle quali, peraltro disastrate fino all’inverosimile).

Il Terzo polo di Calenda e Renzi ha dedicato alle “Politiche per il Mezzogiorno” l’undicesimo dei quattordici punti schematici: va favorita l’emersione delle imprese sane in un contesto di sviluppo della rete infrastrutturale, con priorità alle Zes (Zone economiche speciali) e alla defiscalizzazione.

Potranno bastare su questo terreno così sdrucciolevole la consueta (quando c’è) rievocazione di indirizzi programmatici, molti dei quali già esplicitati in passate campagne elettorali, e il carnet di impegni messo in campo dal governo Draghi ad opera del ministro Carfagna? Certo che no. Perché le vertenze aperte, al di là degli slogan che hanno rilevanza pressoché nulla sul corpo già stressato dell’opinione pubblica, hanno assunto profili di drammaticità tendenti all’irreversibile. Quando le vertenze industriali si riapriranno al calar dell’estate con una tensione crescente, quando si avrà contezza che l’inflazione al Sud, e in generale tra i ceti meno abbienti, morde già adesso a doppia cifra, ben oltre il 7,9% nazionale, forse si dovrà ribaltare il prospetto delle precedenze. 

C’è poi una grande questione che attiene al futuro prossimo del Mezzogiorno, e che reclama una attenzione non di facciata, bensì interventi incisivi, energici. Ed è la questione giovanile. La scuola, al Sud, rappresenta plasticamente la sconfitta dello Stato, che va ben oltre il sacrificio degli insegnanti: prescindendo dal caso clamoroso degli asili nido, la mancanza di mense, di tempo pieno, di palestre in istituti già precari – che la Svimez ha recentemente messo a nudo con dati impietosi – zavorra qualsiasi tentativo di riscatto. Chi ce la fa, spesso va via, con dolore ma emigra. I molti che restano indietro non hanno più chance per colmare il divario: è la fotografia impietosa di una generazione ad handicap. E non per sua scelta o sue responsabilità. Ridurre la dicotomia Nord-Sud a una polemica da bar come quella - con sfumature vagamente razziste - dei voti dei maturandi senza parlare, invece, degli squilibri negli investimenti (il fabbisogno riconosciuto per un alunno di Nola è di 367 euro, per quello di Milano, invece, di 1.446 euro) secondo la logica distorta della spesa storica, è il segnale incontrovertibile di come la vicenda delle due dimensioni interessi solo superficialmente. 
Partiamo dal Pnrr per l’istruzione: voluminoso e quanto mai impegnativo - sei riforme, undici maxi-progetti tra strutture e competenze, investimento complessivo da 17,5 miliardi. Vedremo come tutto ciò si tradurrà in opere (e benefici) reali. E poi le intenzioni dei partiti: Letta ha presentato un piano più organico con investimenti per 10 miliardi in 5 anni (dalle mense ai libri di testo fino ai viaggi-studio e all’aumento dello stipendio degli insegnanti); il centrodestra ha fatto cenno a scuola, università e ricerca – con riferimenti alla eliminazione del precariato tra i docenti, alla meritocrazia e all’avviamento al lavoro - nel suo quattordicesimo punto programmatico sui quindici esposti; il Polo centrista si è posto il problema della dispersione scolastica che ferisce soprattutto il Sud, della povertà minorile e del “tempo lungo”, della retribuzione dei docenti, del legame sfibrato con il mondo del lavoro.

Tutti gli schieramenti non hanno – se non di sfuggita, e comunque con accenti differenti - posto l’accento sugli squilibri geografici esistenti, enormi, disastrosi, che fotografano la frattura tra le due aree del Paese. E che un’autonomia non calibrata, per la quale spingono alcuni settori della Lega a Nord, potrebbe ulteriormente inasprire. Forse le voci dei candidati meridionali dovrebbero essere più stentoree. 

In più, come una matrioska, c’è il caso Napoli. Con una evasione scolastica record (basterebbero solo i casi registrati, o meglio quelli denunciati, tra città e provincia nell’ultimo anno, ben 735), accentuata dagli anni del Covid e della Dad, e l’assenza pressoché totale di assistenti sociali in grado di tamponare i fenomeni legati alla devianza giovanile. Il volontariato, insieme con la Chiesa di strada, cerca di prosciugare il mare con un guscio di noce, eppure tante sono le storie edificanti che ci inducono alla speranza anziché al pessimismo. Ma è poco, troppo poco. Il welfare, nei fatti, ha alzato bandiera bianca. 

Il passo tra la mancata scolarizzazione e il coinvolgimento in fenomeni criminosi, accentuati da modelli che diventano devastanti in ceti sociali al confine tra legalità e anti-Stato, è brevissimo. Fatale. Con questo Sud, che pure diventerà sempre più strategico sulla cartina geopolitica dell’energia, e dunque nello scacchiere europeo post-bellico, la politica deve fare i conti e sporcarsi le mani. Sempre che ne abbia voglia e non lo consideri solo un serbatoio elettorale, da alimentare con iniezioni massicce di assistenzialismo sotto mentite spoglie, perché anche le buone intenzioni di partenza spesso producono danni e distorsioni. I ragazzi del Mezzogiorno – che non vogliono paghette a fondo perduto – hanno bisogno di crescere secondo buone pratiche e paradigmi realistici; soprattutto, hanno bisogno di avere le stesse opportunità dei loro coetanei del Nord. A oggi, non è così. E rischia di andare sempre peggio.
 

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