Il Sud ha bisogno ​di progetti mirati

di Enrico Del Colle
Giovedì 17 Giugno 2021, 00:00 - Ultimo agg. 07:00
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Durante il summit G7, il premier Mario Draghi, nell’illustrare le «ricette» necessarie per indirizzare una sostenuta ripresa economica, ha sottolineato l’esigenza di non riproporre provvedimenti simili a quelli eseguiti durante la pandemia, ovvero di proseguire con sostegni a imprese e individui, ma di «virare» su interventi basati sul binomio più investimenti e meno sussidi, con un’attenzione particolare alla coesione sociale, spesso dimenticata nel passato.

Questo cambiamento di prospettiva, subito apprezzato dagli altri leader, presuppone una politica di bilancio espansiva in grado di «tonificare» la crescita e difendere i lavoratori con politiche attive adeguatamente efficaci (in particolare per donne e giovani); al tempo stesso, però, non bisogna distogliere la vigilanza sui conti pubblici onde schivare possibili ripercussioni in termini di azioni restrittive future da parte delle Banche centrali. Questo nuovo «sentiero» di politica economica e sociale rappresenta per l’Italia un momento di grande rilevanza programmatica, visti i profondi squilibri territoriali interni - da ridurre al più presto – e, contestualmente, le tante risorse europee assegnateci (ricordiamo che sul tema della coesione sono stati destinati nel Pnrr quasi 2 miliardi).

A dire il vero, e limitandoci all’Unione europea, tutti i Paesi devono fare i conti con le differenze presenti all’interno dei confini nazionali, ma non appare superfluo rammentare come nessun Paese dell’Unione europea mostri una situazione territoriale così disomogenea come la nostra e i principali indicatori socioeconomici lo testimoniano: una misura di fonte Eurostat «fotografa» la condizione delle regioni europee in base al Pil procapite; ebbene, in Italia le regioni del Sud sono sotto la soglia del 75% della media europea, mentre le altre regioni si situano al di sopra; negli altri Paesi, invece, c’è maggiore omogeneità interna, il che facilita i decisori politici nell’attuare provvedimenti nei riguardi delle diverse realtà territoriali senza significative difformità operative. Altri indicatori, quando analizzati, muovono nella stessa direzione: se assumiamo come unità di misura la singola regione europea osserviamo che la differenza tra la regione meno «attrezzata» e quella più «dotata» è di gran lunga superiore in Italia rispetto agli altri Paesi.

Ad esempio, l’indicatore «disoccupazione» mostra un tasso del 21% in Calabria e del 3% nella provincia di Bolzano (dati rilevati prima della pandemia), cioè sette volte superiore; ebbene, una differenza così marcata non si riscontra in alcun Paese (in Germania meno di tre volte, in Francia due volte, in Spagna poco più di tre volte, in Olanda quasi due volte); la stessa situazione si verifica con l’indicatore «persone a rischio povertà o esclusione sociale» che registra in Campania una quota superiore al 45% e nella Valle d’Aosta di circa l’8%, ovvero sei volte superiore (nei principali Paesi europei non si supera mai la soglia di due volte).

Insomma, quello che desta interesse misto a preoccupazione non è soltanto il divario tra le nostre regioni (ampiamente noto), ma la sua ampiezza e la distanza dalle più importanti società europee. Poche cifre dimostrano, infatti, che se si vuole avviare concretamente una fase di «riallineamento» sociale, c’è bisogno di proporre interventi selettivi – in particolare al Sud - e non uniformi per tutto il Paese.

Come fare? Innanzitutto, appare auspicabile «approvare» un riferimento territoriale capace di interpretare l’eterogeneità dei nostri territori e, poi, occorre individuare un «pacchetto» di modelli esecutivi in grado di tradurre sul piano normativo e organizzativo tali disparità, come la realizzazione di politiche sociali per la famiglia (con la finalità, ad esempio, di attenuare il carico delle attività di assistenza e di cura per i minori, per i disabili e per gli anziani non autosufficienti, generalmente svolte dalle donne). L’ambizioso obiettivo, difficile ma non impossibile, è quello di migliorare e di rendere più equi gli standard di vita dei cittadini, ovunque vivano, di (ri)stabilire un comportamento solidale sotto il profilo intergenerazionale e di creare le condizioni per una migliore composizione dei tempi di vita e di lavoro. 

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