Sud, è fuga dei residenti: meno un milione in dieci anni

Sud, è fuga dei residenti: meno un milione in dieci anni
di Marco Esposito
Lunedì 3 Ottobre 2022, 23:45 - Ultimo agg. 4 Ottobre, 16:03
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Nel Sud in dieci anni è sparita una città come Napoli, si potrebbe dire. Ma sarebbe inesatto. Il Mezzogiorno infatti ha perso oltre un milione di residenti rispetto al massimo del primo gennaio 2012, scendendo da 20 milioni e 841mila a 19 milioni e 751mila nella rilevazioni al 31 luglio 2022, pubblicata ieri dall’Istat nel suo bollettino mensile. Sarebbe inesatto, perché Napoli da tempo non è più una città da un milione di abitanti e anzi, alla data del 31 luglio scorso, conta per l’esattezza 909.906 residenti. Al ritmo di decrescita attuale, scenderà sono quota 900mila tra un anno.

Solo nel mese di luglio 2022 - ma il trend viene da lontano - a Napoli sono nati 653 bambini e morte 923 persone. Il saldo naturale negativo riguarda ormai tutta l’Italia, anzi quasi tutta Europa. Ma alla carenza di culle, a Napoli e in tutto il Sud si aggiunge la scarsa attrattiva per ragioni economiche. Restando a Napoli, nel mese di luglio hanno lasciato la città per altri comuni d’Italia in 1.181 contro soli 776 arrivi. Inoltre si sono trasferiti all’estero in 79 a fronte di 268 arrivi. È proprio il modesto saldo positivo dei migranti a rendere forte l’emorragia di residenti da Napoli come da tutto il Sud. Nello stesso mese a Milano i trasferimenti oltre confine sono stati molto simili (80 residenti che si sono cancellati dall’anagrafe) mentre gli arrivi dall’estero sono stati 1.109.

I movimenti demografici hanno un andamento lento ma non per questo meno drammatico. Del resto se di colpo smettessero di nascere bambini in tutto il mondo, continueremmo a essere più di 7 miliardi per dieci anni. In Italia, così, si finge di non vedere il declino demografico, con nove anni di calo dei residenti, e all’interno dell’Italia si trascura il vero e proprio collasso del Mezzogiorno.

In pratica ormai per ogni nato al Sud ci sono due perdite, tra decessi e saldo migratorio.

C’è un indicatore che lo rappresenta con chiarezza ed è la quota di residenti nelle otto regioni del Sud rispetto al totale dell’Italia. Vent’anni fa, all’inizio del 2002, vivevano nel Mezzogiorno 36 italiani ogni 100. Quella quota è progressivamente scesa sia negli anni in cui la popolazione totale dell’Italia aumentava grazie all’arrivo dei migranti, sia quando a partire dal 2014 è iniziata a contrarsi. Nel 2018 la quota era del 34%, percentuale diventata nota perché una legge dello Stato proprio in quel periodo ha imposto “quota 34%” per gli investimenti pubblici ordinari nel Mezzogiorno, in modo che gli investimenti provenienti dall’Europa, tra fondi comunitari e poi Pnrr, fossero davvero aggiuntivi. Quel 34% non si è ancora pienamente realizzato; tuttavia intanto i meridionali hanno “scelto con i piedi” ovvero si sono trasferiti a centinaia di migliaia dal Sud verso regioni del Centro e del Nord oppure, più raramente, verso l’estero. E così in base alla verifica anagrafica dell’Istat al 31 luglio 2022 ormai il 34% si è ridotto al 33,5% con tendenza all’ulteriore diminuzione. 

Il fatto che ci siano più decessi che culle è strutturale in Italia, perché le coppie in età fertile non potrebbero in nessun caso, neppure incrementando la fecondità a due figli per donna, far tornare i numeri in equilibrio. Tale fenomeno colpisce il Nord come il Sud e, anche se spesso lo si attribuisce al costo eccessivo del fare figli, non si riscontra alcuna differenza tra i luoghi come l’Emilia Romagna dotati di servizi adeguati e livelli di reddito elevati e le aree con situazioni critiche come Campania e Calabria. Sono le migrazioni interne e dall’estero a fare la differenza, quindi, flussi dovuti quelli sì a differenti situazioni di contesto che pure l’Istat è in grado di evidenziare. Per esempio per la salute, perché in Italia la speranza di vita alla nascita nel 2021 era di 82,4 anni con il Sud che ha 1,7 anni in meno rispetto al Nord. E la Campania con 80,2 anni resta ultima. 

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Tale dato emerge dal Report Istat “Misure del Benessere equo e sostenibile dei territori”, diffuso sempre ieri, secondo il quale tra il 2020 e il 2021 la speranza di vita è cresciuta al Nord (dopo la caduta del primo periodo della pandemia) e diminuita al Sud fissandosi rispettivamente a 82,9 e a 81,3 anni. Divari significativi si hanno poi nell’istruzione: il 36% degli studenti del Nord nel 2021 ha una competenza matematica non adeguata in terza media a fronte del 60% nel Sud. E ancora: nel primo anno di crisi da Covid-19 il reddito si è ridotto di quasi il 6% a livello nazionale, più per le donne (-6,7%) che per gli uomini (-5,6%). La flessione ha riguardato, senza eccezioni, tutte le province italiane, ma è stata mediamente più contenuta al Nord (-5%) e più severa al Mezzogiorno (-8%) dove i livelli iniziali erano già decisamente più bassi. Tra i territori con gli arretramenti maggiori si segnalano Trapani (-10,8%), Napoli (-10,4%) e Taranto (-10,0%). 

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