Un danno per il Sud i politici improvvisati

di Alessandro Campi
Martedì 17 Maggio 2022, 00:00 - Ultimo agg. 06:00
5 Minuti di Lettura

Nella sua intervista al “Mattino”, Florindo Rubbettino, editore e appassionato di studi sul meridionalismo, non l’ha toccata piano. Ha lamentato l’esistenza – anzi, la persistenza – al Sud di un “ceto politico ancora dedito a pratiche di governo clientelari e senza alcuna sensibilità alle urgenze della modernizzazione produttiva e della tutela dell’ambiente”. Cosa ci si può aspettare – ha aggiunto – da un simile ceto in termini progettuali e sviluppo, anche nell’ipotesi che nelle regioni meridionali arrivino nei prossimi mesi e anni soldi a palate? 

Semmai c’è da temere che le risorse finanziarie comunque previste dal Pnrr, oltre quelle straordinarie eventualmente stanziate dal governo, vengano poco o mal utilizzate ovvero indirizzate, come già accaduto nel passato, verso progetti ambiziosi sulla carta, in realtà inutilmente faraonici e incapaci di generare innovazione, occupazione e crescita sociale.

Quelle espresse da Rubbettino potrebbero sembrare considerazioni eccessivamente sconsolate, specie perché espresse in una fase che è di relativa euforia per i grandi cambiamenti che si potrebbero produrre nell’economia italiana ed europea nel giro di pochi anni. Anche se i quattro mesi di guerra russo-ucraina hanno contribuito a smorzarla e ridimensionarla, oltre a far cambiare alcune delle priorità strategiche fissate dall’Europa ad esempio nella materia energetica.

In realtà, parlando senza infingimenti di un territorio preso in una morsa fatta, a suo dire, di affarismo clientelare e criminalità organizzata, privo altresì di una cultura pubblica di massa, di un adeguato senso civico comunitario e di una realtà produttiva realmente innovativa e competitiva, Rubbettino ha dato prova solo di realismo. L’esistenza di eccezioni positive in campo imprenditoriale (come quella che lui stesso rappresenta) e di pezzi di società civile mossi da un forte spirito pubblico, non può far dimenticare i mali antichi che affliggono questa parte d’Italia. E che si sono acuiti da quando, col collasso del sistema politico nazionale e dei partiti che storicamente lo componevano, le regioni meridionali hanno progressivamente perso la capacità, che pure avevano avuto in passato, di far valere i propri interessi e di far sentire la propria voce.

La classe politica meridionale, per tutta la stagione della Prima Repubblica, è stata in gran parte composta, nei diversi territori, da cacicchi e da notabili pienamente inseriti nelle strutture di partito in virtù della loro autonoma forza elettorale. La loro visione del potere era spesso paternalistica e clientelare, ma sorretta da una visione chiara degli interessi – sociali, economici – che erano chiamati a difendere nelle diverse sedi nazionali. Sarebbe lungo l’elenco dei leader politici e di partito, dei governanti e ministri, che il Sud ha espresso nel primo cinquantennio di storia repubblicana.

La Seconda Repubblica, per dirla all’ingrosso, è stata invece caratterizzata dallo spostamento sempre più pronunciato verso il Nord del baricentro della politica nazionale, che continua ancora oggi (basta dare un’occhiata alla composizione degli ultimi governi e alla provenienza – in larga maggioranza da Roma in su – dei titolari di dicastero, specie di quelli importanti).

Al tempo stesso, nei nuovi partiti personali o sempre più a conduzione verticistica e monocratica, gli eletti – anche a causa delle leggi elettorali adottate strada facendo – hanno sviluppato un rapporto sempre più labile con le aree geografiche di origine. Infine, s’è persa quella funzione formativo-selettiva, a livello appunto di personale o ceto politico, che era stata propria per decenni dei partiti organizzati di massa: avventurismo e spontaneismo hanno avuto il sopravvento sul professionismo he nasce da una lunga frequentazione, partendo dal basso, delle assemblee elettive. 

Nel Mezzogiorno notabili e cacicchi esistono ancora, ma ormai rappresentano politicamente sé stessi, ovvero cordate famigliari e affaristiche che hanno ancoraggi partitici poco più che occasionali o strumentali. Non debbono più nemmeno far finta di rispondere ad una qualche visione ideale o di aderire ad un progetto politico collettivo. Ma con ciò, oltre ad essersi spesso abbassata la qualità dei rappresentanti del popolo in termini di competenze e moralità, si sono persi anche il principio di responsabilità e l’obbligo che prima si aveva – almeno sulla carta – di agire nel nome di interessi generali. 

Quale ruolo direttivo e di indirizzo può assolvere un ceto composto e selezionato in modo sempre più occasionalistico e contingente, ovvero secondo pratiche basato su logiche di scambio e di puro potere? Politicamente è il problema più grande che in questo momento ha il Sud, al netto delle consuete eccezioni virtuose. Purtroppo, i tempi necessari ad invertire un simile trend storico, che ha cause strutturali e sistemiche, sono lunghi. Non bastano le esortazioni dall’alto o le lamentele dal basso, tanto meno la buona volontà dei singoli. Rubbettino invita a puntare sulla cultura e su un cambio di mentalità generalizzato, che per definizione non può che investire le generazioni più giovani: quelle più penalizzate dall’attuale immobilismo socio-politico e più aperte alle istanze di cambiamento. Ma anche in questo caso l’orizzonte temporale difficilmente può essere breve. 

Pessimismo? Negare la realtà o edulcorarla sarebbe certamente più dannoso. In realtà, prendere coscienza di un problema, senza infingimenti, è già parte della sua soluzione. Al Sud non servono tanto finanziamenti e risorse, secondo un refrain al tempo stesso vittimistico e consolatorio, servono gruppi dirigenti – nella società civile e in politica – che abbiano coscienza del loro ruolo e possano fungere da riferimento simbolico e pratico-operativo per i diversi attori sociali e territoriali. I soldi pubblici, da soli, generano assistenzialismo, pratiche clientelistiche e ricchezza per pochi. Lo sviluppo, l’equità sociale e il benessere collettivo sono ahimé un’altra cosa. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA