Beffa asili nido: tagli al Nord ma il Sud resta a zero

di Marco Esposito
Sabato 13 Ottobre 2018, 22:59
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Il governo ha ratificato la scelta della Commissione tecnica fabbisogni standard (Ctfs) di applicare, con effetto dal 2019, gli obiettivi per gli asili nido. Ma centinaia di Comuni soprattutto di Emilia Romagna, Umbria, Toscana e Valle d’Aosta si vedranno ridurre il fabbisogno che ha picchi superiori al 55%, fino al 33%. E non si farà nulla per le migliaia di Comuni, soprattutto del Sud, che hanno una copertura minima oppure nulla. 

embra la commedia degli equivoci. E farebbe anche ridere, se di mezzo non ci fossero le migliaia di famiglie soprattutto meridionali alle quali viene promessa da anni l’apertura di un asilo nido per quartiere senza che se ne veda traccia.
Il governo ha ratificato la scelta della Commissione tecnica fabbisogni standard (Ctfs) di applicare per la prima volta, con effetto dal 2019, gli obiettivi per gli asili nido indicati nel 2002 dal Consiglio europeo di Barcellona e cioè offrire un servizio di assistenza «almeno al 33% dei bambini di età inferiore a 3 anni». Obiettivo fissato per il 2010. 
«Almeno al 33%» sembra una frase chiara: se in un Comune ci sono 100 bambini entro i tre anni, «almeno 33» (quindi 33, oppure 34, o anche 35 o ancora 36 oppure meglio ancora 37 e così via) devono avere un servizio di asili nido secondo gli impegni che l’Italia come gli altri Paesi europei ha preso nella città catalana ormai sedici anni fa. Invece la Ctfs è riuscita a capovolgere la frase «almeno al 33%» in «non più di 33% e se sono meno va bene com’è». Quindi, dal 2019, centinaia di Comuni soprattutto di Emilia Romagna, Umbria, Toscana e Valle d’Aosta si vedranno ridurre il fabbisogno standard dal livello raggiunto, che ha picchi superiori al 55%, fino al 33%. Ma non si farà nulla per le migliaia di Comuni, soprattutto del Sud, che hanno una copertura minima oppure nulla. Per quei municipi il fabbisogno standard di asili nido rimarrà anche per il 2019 basso. Addirittura zero, nonostante l’impegno di Barcellona (33%), nonostante i decreti delegati della legge per la Buona Scuola (33%) e nonostante una norma (Dpcm 27 marzo 2015) in vigore dal 2016 (12%).

Com’è possibile che ci si sia avventurati in un pasticcio simile? Ci sono più ragioni. In primo luogo la Ctfs dal 5 giugno scorso è priva di presidente, per le dimissioni di Luigi Marattin che il 4 marzo è stato eletto deputato con il Pd e quindi ha perso natura di tecnico. La nomina del successore spetta al premier Giuseppe Conte ma, nell’attesa, la presidenza della Ctfs è stata assunta grazie all’anzianità da Rocco Aprile, un dirigente del ministero dell’Economia di 56 anni. Sugli asili nido la Ctfs sa bene (proprio Aprile in passato lo ha sottolineato) che va superato l’assurdo - denunciato più volte dal Mattino - di assegnare fabbisogno zero su un servizio essenziale, per cui sul tavolo è arrivata la proposta di tagliare al Centronord le quote in eccesso rispetto all’obiettivo di Barcellona (quindi quelle oltre il 33%) per iniziare un primo, timido, riconoscimento al Sud e cioè il 5% da erogare anche sotto forma di voucher. La nuova formula è stata portata sul tavolo della Ctfs dalla Sose, la società del ministero del Tesoro e della Banca d’Italia cui la legge assegna il compito di elaborare i conteggi nel federalismo fiscale.
Ma quella ipotesi minimale (5%) è stata scartata. Come mai? Perché se inizi a riconoscere anche un piccolo diritto al Sud, dove ora manca del tutto, non si capirebbe in base a quale criterio ci si debba fermare all’asilo nido e non estendere il principio dell’equità a tutti gli altri servizi fondamentali misurati dai fabbisogni standard: gli zeri, insomma, nel 2019 si applicheranno ancora su mense scolastiche, trasporto pubblico locale, assistenza ai disabili, assistenza agli anziani e così via. Caserta perciò nel 2019 sarà l’unico capoluogo d’Italia ad avere un fabbisogno standard riconosciuto di autobus pari a zero. In teoria si sta aspettando che il Parlamento definisca finalmente i Lep, cioè i «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Il ritardo nell’arrivo dei Lep è una scusa per tenere bassi i fabbisogni standard nel Mezzogiorno e quindi tutelare le aree agiate e limitare la solidarietà verso i territori con minore capacità fiscale.

Ma il diavolo, si sa, combina sempre qualche errore e così nella versione finale - approvata dalla Ctfs e che il governo ha ratificato in via preliminare in attesa della conferenza Stato-città - è sparito il piccolo aumento da 0 a 5% al Sud mentre è rimasto il taglio al 33% al Centronord. Un sacrificio privo di contropartita. Che fine faranno i soldi risparmiati? Sono 20 milioni su 30 miliardi di spesa comunale. Non tanti, ma neppure pochissimi. Visto che quei soldi non possono sparire, saranno ridistribuiti a casaccio ai Comuni, senza alcun obbligo di attivare servizi. Un capolavoro.


 
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