La Napoli creativa che vince sulle scene

di Fabrizio Coscia
Martedì 24 Dicembre 2019, 00:00 - Ultimo agg. 08:16
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La buona notizia ci è arrivata dai premi Ubu - gli Oscar italiani del teatro - assegnati, la scorsa settimana, per due delle più importanti categorie - miglior spettacolo e miglior attore - ad artisti campani: Antonio Latella, regista dell’«Aminta» di Torquato Tasso e Lino Musella, attore protagonista del monologo «The Night Writer. Giornale notturno» di Jan Fabre. Napoli dunque vince con il teatro, ed è la Napoli che ci piace, quella che più amiamo: la Napoli creativa, la Napoli che lavora con rigore e professionalità, che si afferma senza stereotipi, offrendo un’immagine diversa, lontana anni luce da quella veicolata dai media. Una Napoli che, almeno per una volta, ci fa dimenticare l’altra città, quella con cui ogni giorno ci scontriamo non senza scoramento.

Due allestimenti, questi premiati, che hanno in comune la forza eversiva, la teatralità radicale, la risonanza della parola scenica. Due artisti di generazioni diverse, con percorsi differenti, ma con una medesima vocazione sperimentale. Latella, classe 1967, nato a Castellamare di Stabia (la patria di Viviani e Ruccello), è artista di fama internazionale, trasferito a Berlino dal 2004 e direttore della sezione teatro della Biennale di Venezia dal 2017. Musella, nato a Napoli 39 anni fa, è attore di notevole personalità, tra i più bravi della sua generazione: ha lavorato, oltre che in teatro, anche per il cinema e in serie tv come «Gomorra» e «The Young Pope». 

Si è costruito, negli anni, un modello di recitazione antinaturalistica, di straordinaria forza emotiva, che con lo spettacolo di Fabre - artista visivo e regista teatrale belga - ha avuto modo di manifestarsi in tutta la sua originalità. Ed è significativo, mi pare, che a essere premiati siano stati due teatranti che hanno superato i confini nazionali, a conferma che la cultura napoletana, quando non si specchia in se stessa in maniera autoreferenziale, quando non si fa caricatura cabarettistica, riesce a trovare la sua più feconda espressione e la sua dimensione più spiccatamente europea. Sarà anche un’immagine abusata, quella di Napoli «theatrum mundi», ma è un fatto che nessun’altra città ha fondato con altrettanta assiduità la propria cifra identitaria - perfino antropologica, direi - sul concetto di rappresentazione. Quando si dice che a Napoli tutto è teatro - fu Walter Benjamin, tra gli altri, a parlare di una teatralità urbana - va inteso alla lettera, come attitudine a incarnare nella quotidianità, nello spazio, nei comportamenti, una tradizione concepita come patrimonio di gesti, pratiche, corpi, codici visivi e linguistici, iscritto profondamente nel tessuto genetico della città e dei cittadini.

Ho parlato di teatro napoletano, ma sarebbe più opportuno coniugare il concetto al plurale, parlare, cioè, di «teatri di Napoli», per citare un titolo celebre di Benedetto Croce: penso, a questo proposito, anche al successo avuto dal teatro di Vincenzo Salemme su Rai2, con il programma «Salemme… il bello della diretta», che ha esordito con la commedia «Di mamma ce n’è una sola», il primo dei tre spettacoli portati in scena in diretta dall’auditorium Scarlatti della Rai Napoli: è stato seguito da un milione e 753mila telespettatori, pari al 7,7 di share (un successo confermato, con leggero ribasso, anche nella seconda puntata), a riprova che la «napoletanità» può essere garanzia di qualità anche nella sua versione più nazionalpopolare, anche nei grandi numeri, e nel solco di una tradizione (quello della commedia) nobilissima. Sono dati, questi, che andrebbero incrociati con quelli della ricezione teatrale a Napoli: basti pensare alla quantità di sale attive in città, all’offerta variegata dei cartelloni, e alla partecipazione numerosa degli spettatori a una manifestazione come il Napoli Teatro Festival Italia, per ricordarci che questa è la capitale del teatro, che la città è fucina di artisti, i quali spesso partono - è vero - ma a volte restano o tornano, in un processo osmotico decisamente benefico. Certo, c’è ancora molto da fare, certo sarebbe bello che la capacità produttiva ed organizzativa del teatro a Napoli (e non solo del teatro dei napoletani) sia sempre all’altezza delle sue potenzialità, e riesca a valorizzare i suoi migliori talenti, quelli che sono partiti come quelli che sono rimasti. 

Ma intanto godiamoci questi premi, questi riconoscimenti, nella piena convinzione che se riscatto può esserci per la nostra città è solo dall’arte, dalla cultura che potrà arrivare.
 
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