La politica deve uscire ​dalla gestione dei trasporti

di Nando Santonastaso
Giovedì 16 Gennaio 2020, 00:00
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Non bastano dieci treni supermoderni o cento autobus all’avanguardia per migliorare d’acchitto l’efficienza del trasporto pubblico. Soprattutto a Napoli, dove peraltro tra strade chiuse o zavorrate da cantieri infiniti, traffico ingovernabile e carenze infrastrutturali c’è solo l’imbarazzo della scelta per raccontare le cause del disagio quotidiano di pendolari o semplici utenti. Il problema è più complesso e il disastro sfiorato della metropolitana dell’altro giorno lo rimette puntualmente al centro. 

C’è un equivoco che va avanti da tempo, per essere più chiari, tra la gestione dell’ordinario - spesso all’insegna dell’emergenza – e l’obiettivo di un salto di qualità organizzativo e di visione che con la prima si concilia poco o nulla ma che in quasi tutto il mondo, e anche a Milano o a Bologna per restare in Italia, è ormai una certezza. A Napoli no perché qui, più che altrove, l’intreccio tra la politica e il sistema delle società pubbliche che operano nel settore, e che dalle scelte della prima dipendono, produce al massimo buone intenzioni, annunci, misure tampone.

Roba da minimo sindacale, si potrebbe dire, fingendo di considerare trascurabile il peso delle organizzazioni dei lavoratori che, invece, proprio in questo comparto debole non è mai stato. 

In un quotidiano e arruffato gioco di equilibri, nel quale la priorità resta sempre e comunque il consenso elettorale, la politica sforna nomine e finanziamenti improvvisando competenze che in condizioni normali non si sognerebbe nemmeno di pretendere. Si sente protagonista unica di uno scenario nel quale, al contrario, dovrebbe limitarsi a indicare gli obiettivi, a disegnare una cornice territoriale di riferimento, affidandone la realizzazione ad altri. 

Già, altri. Ovvero, aziende capaci di mettere in campo un know how di professionalità e, appunto, di competenza inattaccabile, che si matura sul campo e non in base ad un’area ideologica di riferimento. Aziende che fanno questo lavoro per mestiere e alle quali è lecito chiedere conto di risultati e traguardi raggiunti senza ragionare in termini di intermediazioni politiche o di partito. Si garantirebbe in questo modo il ritorno al rispetto dei ruoli che va ben al di là della fatica, spesso encomiabile, di questo o quel manager chiamato a caricarsi sulle spalle la sola gestione del giorno per giorno senza magari averne nemmeno la necessaria esperienza.

Non abbiamo spesso la sensazione che il trasporto pubblico “dipenda” da una sola persona, povero lui, non essendo mai diventato in questi anni un sistema a tutti gli effetti, con un altissimo livello di modernità, cioè, e una chiara differenziazione di ruoli e di responsabilità? Il rischio non è solo di ulteriore perdita di competitività del territorio, già peraltro bollato come uno dei più inefficienti d’Italia. Il vero pericolo è che non si riusciranno a reggere sfide già in atto nel nome della tecnologia che prima o poi interesseranno anche Napoli, a cominciare dall’uso del digitale per l’accesso ad ogni forma di mobilità per finire ai treni senza conducente. 

Chi pensa che si tratti di uno scenario improbabile farebbe bene a ricredersi in fretta: piaccia o no alla politica, il trasporto pubblico sarà tra i primi a sperimentare la nuova rivoluzione tecnologica. Prepararsi alla svolta sembrerebbe una scelta tanto saggia quanto in fondo obbligata, specie se si considera il solo impatto del turismo sull’economia di Napoli e della Campania: l’unico premiato con il segno più dalle ultime analisi statistiche. 

 
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